Con ordinanza n. 7414 del 20 marzo 2024, la prima sezione civile della Corte di Cassazione ha ricordato che l’amministrazione di sostegno è uno strumento volto a proteggere la persona in tutto o in parte priva di autonomia, in ragione di disabilità o menomazione di qualunque tipo e gravità, senza mortificarla e senza limitarne la capacità di agire se non - e nella misura in cui - è strettamente indispensabile; la legge chiama il giudice all’impegnativo compito di adeguare la misura alla situazione concreta della persona e di variarla nel tempo, così da assicurare all’amministrato la massima tutela possibile con il minor sacrificio della sua capacità di autodeterminazione (Cass. civ., sez. un., 30luglio 2021, n. 21985; Cass. civ., sez. I 27 settembre 2017, n. 22602, Cass. civ., sez. I, 11 maggio 2017, n. 11536). Introducendo l'amministrazione di sostegno, il legislatore ha dotato l'ordinamento di una misura che può essere modellata dal giudice tutelare in relazione allo stato personale e alle circostanze di vita di ciascun beneficiario e in vista del concreto e massimo sviluppo delle sue effettive abilità. Così l'ordinamento mostra una maggiore sensibilità alla condizione delle persone fragili o con disabilità, è più attento ai loro bisogni e allo stesso tempo più rispettoso della loro autonomia e della loro dignità di quanto non fosse in passato, quando il codice civile si limitava a stabilire una netta distinzione tra soggetti capaci e soggetti incapaci, ricollegando all'una o all'altra qualificazione rigide conseguenze predeterminate. Nell’assolvere a questi compiti di protezione della persona, non è la gravità della malattia o menomazione che deve orientare il giudice, ma piuttosto la idoneità di tale strumento ad adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa (Corte Cost. 10maggio 2019, n.114; Cass. civ., sez. I, 4marzo 2020, n. 6079; Cass. civ., sez. I, 12 giugno 2006, n. 13584). La flessibilità è quindi il tratto distintivo di questa misura di protezione, che non ha una disciplina legale predeterminata in ogni suo aspetto, posto che la normativa lascia ampi spazi di regolamentazione e di adattamento della misura al caso concreto (il c.d. vestito su misura). Il giudice verifica, da un lato, le competenze della persona e cioè le sue capacità e abilità, e, dall’altro, le sue carenze, muovendo dal presupposto che la persona potrebbe essere in grado di autodeterminarsi e di esercitare con sufficiente avvedutezza taluni diritti, ovvero operare in taluni ambiti della vita sociale ed economica, mentre potrebbe non essere abile e competente in altri settori. In esito a tale verifica il giudice, oltre a decidere l’an della misura, deve anche definire e perimetrare i compiti e i poteri dell'amministratore, in termini direttamente proporzionati all’incidenza degli accertati deficit sulla capacità del beneficiario di provvedere ai suoi interessi, di modo che la misura risulti specifica e funzionale agli obiettivi individuali di tutela, altrimenti implicando un'ingiustificata limitazione della capacità di agire della persona (Cass. civ., 2 novembre 2022, n.32321). Si deve inoltre osservare che l'art. 410 c.c. — nella parte in cui impone all'amministratore di sostegno di informare il beneficiario circa gli atti da compiere e, in caso di dissenso, anche il giudice tutelare — dimostra come, in ogni caso, la volontà del beneficiario e le sue opinioni debbano essere tenute in considerazione, pur se ne venga limitata la capacità, e pur se il giudice tutelare dovrà vagliare se detta volontà non si ponga in contrasto con gli interessi primari del beneficiario stesso. Limitare la capacità nella minor misura possibile significa pertanto non soltanto selezionare specificamente gli atti che il beneficiario non può compiere o non può compiere da solo, ma altresì preservare, anche con riferimento a questi atti, il diritto del beneficiario di esprimere la propria opinione e di partecipare, nella misura in cui lo consenta la sua condizione, alla formazione delle decisioni che lo riguardano (Cass. civ. 12 febbraio 2024 n.3751). L’opinione del beneficiario non può essere considerata minusvalente solo perché espressa da un soggetto fragile, disabile, affetto da malattia psichica, poiché in tal modo si riproporrebbe uno schema rigido fondato su regole predeterminate, spesso desunte da dogmi indimostrati e talora discriminatori; invece di valutare, come richiede un approccio orientato al rispetto dei diritti umani, se nel caso concreto è possibile ed in quale misura rispettare la volontà dell‘interessato senza pregiudizio per i suoi interessi. Il diritto del beneficiario di essere informato e di esprimere la propria opinione - seppure da sottoporre a vaglio - costituisce pertanto uno spazio di libertà e di autodeterminazione incomprimibile, anche qualora ne venga fortemente limitata la capacità e ciò peraltro in conformità alle indicazioni date dalla nostra Corte costituzionale secondo la quale in nessun caso i poteri dell'amministratore possono coincidere “integralmente” con quelli del tutore o del curatore (Corte Cost. 440/2005), nonché in conformità con le indicazioni date dalla Convenzione di New York del 13dicembre 2006 sulle persone con disabilità, ove si si riconosce l’importanza della loro autonomia ed indipendenza individuale, compresa la libertà di compiere le proprie scelte, nonché l’importanza della accessibilità alla informazione e comunicazione, per consentire alle persone con disabilità di godere pienamente di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali. Da ciò consegue che il giudice tutelare, per garantire questi diritti ed esercitare adeguatamente il dovere di vigilanza anche al fine di modificare o integrare “in ogni tempo” anche di ufficio, le decisioni assunte con il decreto di nomina dell'amministratore di sostegno (art. 407, comma 4, c.c.), deve essere in grado di interloquire rapidamente e senza eccessive formalità tanto con l’amministratore quanto con il beneficiario, e anche con i soggetti che operano nella rete di protezione costruita intorno a quest’ultimo (i familiari, i servizi sociali, gli operatori sanitari). Il giudice tutelare è infatti un giudice di prossimità, cui si possono rivolgere istanze anche verbalmente (art. 43 disp. att. c.c.) e non necessariamente con la intermediazione della difesa tecnica; ed è un giudice cui il beneficiario deve potersi rivolgere facilmente, come peraltro rivela la scelta legislativa di determinare la competenza territoriale non già in relazione al luogo di residenza dell’amministratore ma a quello dello stesso beneficiario. Sul punto, questa stessa Corte ha precisato che la competenza territoriale si radica con riferimento alla dimora abituale del beneficiario e non alla sua residenza, in considerazione della necessità che egli interloquisca con il giudice tutelare, il quale deve tener conto, nella maniera più efficace e diretta, dei suoi bisogni e richieste, anche successivamente alla nomina dell'amministratore (Cass. civ. 11 ottobre 2017, n. 23772; Cass. civ. 17 settembre 2020, n. 19431).
Così disegnato il quadro complessivo, se ne possono trarre alcune conclusioni. La prima: il beneficiario può manifestare le proprie esigenze al giudice tutelare anche con modalità di comunicazione informali, come ad esempio con posta elettronica non certificata, e che non è necessario che dette comunicazioni si esprimano nei termini di una specifica e formale istanza, purché idonee a portare a conoscenza del giudice tutelare il punto di vista dell’interessato. La seconda: il giudice tutelare è tenuto a valutare e a tenere in considerazione le esigenze espresse dal beneficiario, ancorché affetto da malattia psichiatrica o disabilità, muovendo dal principio che la libera autodeterminazione del soggetto deve essere rispettata nei limiti del possibile, nei limiti cioè in cui essa non arrechi pregiudizio alla persona stessa; in questa valutazione deve guardarsi non già a quella che è la migliore soluzione per la amministrazione dei beni ma quella che è la migliore soluzione per il benessere della persona.
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