Con
ordinanza n. 16222 dell’8 giugno 2023, la seconda sezione civile della Corte di
Cassazione, intervenendo in tema di appalto, ha affermato che le nuove opere
richieste dal committente costituiscono varianti in corso d’opera ove, pur non
comprese nel progetto originario, siano necessarie per l’esecuzione migliore
ovvero a regola d’arte dell’appalto o, comunque, rientrino nel piano dell’opera
stessa e, invece, sono lavori extracontrattuali se siano in possesso di una
individualità distinta da quella dell’opera originaria, pur se ad essa
connessi, ovvero ne integrino una variazione quantitativa o qualitativa oltre i
limiti di legge, sicché, nel primo caso, l’appaltatore è, in linea di
principio, obbligato ad eseguirle, mentre, nel secondo, le opere debbono
costituire oggetto di un nuovo appalto (Cass. civ., sez. I, 15 gennaio 2020, n.
727; Cass. civ., sez. II, 12 maggio 2016, n. 9767; Cass. civ., sez. I, 1°
agosto 2013, n. 18438; Cass. civ., sez. I, 7 luglio 2004, n. 12416; Cass. civ.,
sez. I, 14 giugno 2000, n. 8094; Cass. civ., sez. I, 19 maggio 1972, n. 1531).
Ebbene, quando,
nel corso o al termine dell’esecuzione del contratto d’appalto, l’appaltatore
abbia realizzato lavori extracontrattuali, non si ricade nell’ambito dei patti
aggiunti o contrari al contenuto dell’appalto, per i quali operi la limitazione
probatoria sulla testimonianza di cui all’art. 2723 c.c., avendo tale
pattuizione la valenza di nuovo e autonomo contratto, avente ad oggetto lavori
ulteriori rispetto all’originaria opera, che non ne costituiscono un
completamento o uno sviluppo, ma integrano un’opera a se stante, ovvero quelli
che comportano radicali modifiche alla natura dell’opera originaria. Si tratta,
dunque, di un appalto separato ed indipendente dal primo (Cass. civ., sez. II,
10 gennaio 2023, n. 347; Cass. civ., sez. VI-2, 3 ottobre 2022, n. 28622; Cass.
civ., sez. II, 5 agosto 2022, n. 24314; Cass. civ., sez. II, 25 maggio 1991, n.
5935; Cass. civ., sez. I, 27 febbraio 1963, n. 473; Cass. civ., sez. I, 3
luglio 1958, n. 2384).
Ed invero,
ricadono nell’ambito dei lavori extracontrattuali le seguenti tre categorie di
interventi:
a) i lavori
richiesti dal committente, che non abbiano alcuna relazione con l’originaria
opera appaltata, non costituendone un suo completamento o un suo sviluppo o una
sua sostituzione, ma una mera aggiunta;
b) i lavori
che incidono in modo così radicale sull’opera commissionata, tanto da
modificarne la natura, cioè l’essenza, a cui fa riferimento l’art. 1661, comma
2, c.c.;
c) le opere modificative richieste, allorquando l’opera appaltata sia stata già ultimata e accettata.
Infatti, i suddetti lavori non vanno ad incidere sulle clausole negoziali, sicché non rilevano, se non in via di fatto, ai fini del pattuito termine di consegna delle opere (Cass. civ., sez. II, 31 ottobre 2014, n. 23291). Solo ove tali patti posteriori avessero avuto un’efficacia integrativa o avversativa del contenuto dell’originario contratto stipulato, senza avere alcuna autonomia negoziale, a fronte della stipulazione per iscritto del contratto (non richiesta ad substantiam) – e, dunque, riscontrabile in un documento, quale scrittura racchiudente una vera e propria convenzione –, di cui tali patti avrebbero costituito mera appendice con valenza accessoria, l’ammissione della prova testimoniale sarebbe stata subordinata alla previa valutazione della qualità delle parti, della natura del contratto e di ogni altra circostanza da cui potesse apparire verosimile che fossero state apportate aggiunte o modificazioni verbali all’unico contratto concluso, peraltro alla stregua di una valutazione discrezionale rimessa al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità (Cass. civ., sez. III, 22 maggio 2006, n. 11932; Cass. civ., sez. III, 20 marzo 2006, n. 6109; Cass. civ., sez. II, 28 maggio 2004, n. 10319; Cass. civ., sez. II, 20 dicembre 1994, n. 10969; Cass. civ., sez. II, 21 ottobre 1993, n. 10433; Cass. civ., sez. I, 1° agosto 1990, n. 7660; Cass. civ., sez. III, 24 novembre 1981, n. 6246; Cass. civ., sez. III, 25 settembre 1978, n. 4287; Cass. civ., sez. III, 4 dicembre 1974, n. 3978; Cass. civ., sez. III, 3 ottobre 1972, n. 2842; Cass. civ., sez. III, 21 marzo 1970, n. 768; Cass. civ., sez. I, 10 agosto 1963, n. 2287).
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