Con ordinanza n. 3650 del 9 febbraio 2024, la prima sezione della Corte di Cassazione ha ricordato che costituisce poi orientamento consolidato della Suprema Corte (tra le più recenti, Cass. civ., sez. III, 6 agosto 2007, n. 17172; Cass. pen, sez. V, 16 marzo 2005, n. 13264) quello per cui, in tema di azione di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo stampa, presupposto per l’applicabilità della esimente del diritto di cronaca è la continenza, intesa in senso sostanziale e formale.
Sotto il primo profilo, i fatti narrati debbono corrispondere a verità, sia pure non assoluta, ma soggettiva; sotto il secondo, la esposizione dei fatti deve avvenire in modo misurato, deve, cioè, essere contenuta negli spazi strettamente necessari. Peraltro, quando, come accade di frequente, la narrazione di determinati fatti sia esposta insieme alle opinioni dell’autore dello scritto, in modo da costituire al contempo esercizio di cronaca e di critica, la valutazione della continenza non può essere condotta sulla base dei soli criteri indicati, essenzialmente formali, dovendo, invece, lasciare spazio alla interpretazione soggettiva dei fatti esposti. Infatti, la critica mira non già ad informare, ma a fornire giudizi e valutazioni personali, e, se è vero che, ogni diritto, anche quello in questione non può essere esercitato se non entro limiti oggettivi fissati dalla logica concettuale e dell’ordinamento positivo, da ciò non può inferirsi che la critica sia sempre vietata quando sia idonea ad offendere la reputazione individuale, richiedendosi, invece, un bilanciamento dell’interesse individuale alla reputazione con quello alla libera manifestazione del pensiero, costituzionalmente garantita. Siffatto bilanciamento è ravvisabile nella pertinenza della critica di cui si tratta all’interesse pubblico, cioè nell’interesse dell’opinione pubblica alla conoscenza non del fatto oggetto di critica, che è presupposto della stessa, e, quindi, fuori di essa, ma di quella interpretazione del fatto, interesse che costituisce requisito per la invocabilità della esimente del diritto di critica, assieme alla correttezza formale (continenza). In tema di esercizio dell'attività giornalistica, il carattere diffamatorio di uno scritto non può poi essere escluso «sulla base di una lettura atomistica delle singole espressioni in esso contenute, dovendosi, invece, giudicare la portata complessiva del medesimo con riferimento ad alcuni elementi, quali: l'accostamento e l'accorpamento di notizie, l'uso di determinate espressioni nella consapevolezza che il pubblico le intenderà in maniera diversa o contraria al loro significato letterale, il tono complessivo e la titolazione dell'articolo, proprio il titolo essendo specificamente idoneo, in ragione della sua icastica perentorietà, ad impressionare e fuorviare il lettore, ingenerando giudizi lesivi dell'altrui reputazione» (Cass. civ. 18769/2013; Cass. civ. 25157/2008; cfr. anche Cass. civ. 12012/2017; Cass. civ. 29646/2017). In tema di interpretazione critica, si è ritenuto che «per la sussistenza dell'esimente dell'esercizio del diritto di critica è necessario che quanto riferito non trasmodi in gratuiti attacchi alla sfera personale del destinatario e rispetti un nucleo di veridicità, in mancanza del quale la critica sarebbe pura congettura e possibile occasione di dileggio e di mistificazione, fermo restando che l'onere del rispetto della verità è più attenuato rispetto all'esercizio del diritto di cronaca, in quanto la critica esprime un giudizio di valore che, in quanto tale, non può pretendersi rigorosamente obiettivo» (Cass. pen. 18 giugno 2009, n. 43403). Quindi la critica non può essere obiettiva ed imparziale o non deve riprodurre fedelmente i documenti commentati dal giornalista, in quanto «in tema di diffamazione, la critica, anche se non può essere avulsa da ogni riferimento alla realtà sostanziale e tradursi in mera astrazione diffamatoria o pura invenzione congetturale, costituisce attività speculativa che per sua stessa natura non può pretendersi asettica e fedele riproposizione degli accadimenti reali, ma consiste nella rappresentazione critica di questi ultimi e, dunque, in una elaborazione che conduce ad un giudizio che, in quanto tale, non può essere rigorosamente obiettivo ed imparziale, siccome espressione del bagaglio culturale e politico di chi lo formula» (Cass. pen., 22 maggio 2009 n. 40408). Sempre in ambito penale, da ultimo è stato ribadito che, in tema di diffamazione, per potere ravvisare la scriminante di cui all'art. 51 c.p. del legittimo esercizio del diritto di critica, devono ricorrere i presupposti di tale causa di giustificazione quali la verità del fatto storico posto a fondamento della elaborazione critica e la c.d. continenza, ossia l'uso di modalità espressive che siano proporzionate e funzionali all'opinione dissenziente manifestata. A tal ultimo riguardo, il requisito della continenza, al fine di ravvisare la sussistenza dell'esimente, ha necessariamente il carattere dell'elasticità e, pertanto, al fine di ritenere o meno proporzionalmente e/o funzionalmente eccedenti i limiti del diritto di critica in relazione a tale requisito, occorre compiere non solo in astratto, ma soprattutto in concreto un ragionamento di tipo critico-logico che tenga conto di una serie di “parametri” quali, non solo il tenore letterale delle espressioni rese (che ben potrebbero essere poste con coloriture ed iperboli, toni aspri o polemici, linguaggio figurato o gergale), ma anche il concetto o messaggio che si vuole esprimere o trasmettere, il contesto dialettico in cui le stesse dichiarazioni vengono rese (per esempio, in occasione di una discussione o in sede di dibattito) e le modalità con cui esse sono manifestate e/o reiterate.
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