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L’assenza della delibera assembleare in merito alla quantificazione del compenso dell’amministratore non integra in automatico il reato di bancarotta fraudolenta

Autore: Francesco Martin
Data: 31 Agosto 2023

Con sentenza n. 36416 dell’11 maggio- 31 agosto 2023, la quinta sezione penale della Corte di Cassazione si è pronunciata circa il diritto al compenso dell’amministrazione nel caso di bancarotta della società.

La previsione di cui all'art. 2389 c.c. stabilisce che la misura del compenso degli amministratori di società di capitali, qualora non sia stabilita nello statuto, debba essere determinata con delibera assembleare.

Il dato formale della assenza di una delibera assembleare o di una previsione statutaria, che fissi il compenso per l'amministratore della società di capitali, deve pur sempre confrontarsi con la circostanza che il prelievo possa essere comunque dovuto nell'"an" ed essere congruo, se non addirittura necessitato da esigenze di sopravvivenza, nel quale caso la condotta risulta non più distrattiva, in quanto determinante il pericolo di una riduzione della garanzia patrimoniale per i creditori ma, a fronte della legittima sussistenza del credito, per così dire di necessità, deve ritenersi lesiva del principio della par condicio creditorum, integrando così la fattispecie della bancarotta preferenziale.

Difatti l'orientamento maggioritario, sostenuto anche da autorevole dottrina, richiama il dato della effettività del credito e della congruità delle somme percepite e ritiene che l'amministratore risponda di bancarotta preferenziale e non di bancarotta fraudolenta per distrazione allorché, pur senza autorizzazione degli organi sociali, si ripaghi dei suoi crediti verso la società in dissesto relativi a compensi per il lavoro prestato, prelevando dalla cassa sociale una somma congrua rispetto a tale lavoro. Il diritto dell'amministratore ad un equo compenso non può tuttavia venire meno per l'assenza di una delibera assembleare che ne determini preventivamente l'ammontare, perché il credito matura quando sia stata offerta la prestazione professionale, trattandosi di amministratore ritualmente nominato alla carica ricoperta. La mancanza di approvazione dell'ammontare del compenso da parte dell'assemblea può, in verità, costituire un indice, unitamente ad altri elementi, della non regolarità dell'operazione. La legittimità della apprensione del compenso deriva, peraltro, direttamente anche dall'art. 36 Cost., essendo, quindi, determinante non tanto la regolarità formale della operazione, quanto la corrispondenza tra la somma appresa e l'attività effettivamente svolta per la società. Né vale, inoltre, osservare che il credito può trovare soddisfazione soltanto quando sia certo, liquido ed esigibile, sia perché tali connotati sono necessari per opporre il credito in compensazione, ma non per vantare il diritto al compenso, sia perché il concetto di bancarotta fraudolenta è integrato dalla sottrazione del bene agli interessi dei creditori, finalità da escludersi nella ipotesi dell'amministratore che percepisca il compenso dovutogli. Bisogna, infine osservare che il credito da lavoro è sempre esigibile ed il titolare di tale credito ha sempre la possibilità di insinuarsi nella massa passiva fallimentare. Il fatto che manchi una formale delibera degli organi sociali non pregiudica il diritto del lavoratore a percepire il suo compenso e, quindi, siffatta regolarità formale non può costituire un criterio per negare il diritto al prelievo e ravvisare il grave delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione. A ben vedere quindi l'amministratore unico o il consigliere di amministrazione di una società per azioni è legato alla stessa da un rapporto di tipo societario che, in considerazione dell'immedesimazione organica tra persona fisica ed ente e dell'assenza del requisito della coordinazione, non è compreso in quelli previsti dall'art. 409 c.p.c.. Non di meno, però, è altrettanto pacifico che sussista il diritto al compenso, rinunciabile perché disponibile, a differenza di quello correlato al rapporto di lavoro subordinato (art. 2113, comma 1, c.c.), il che è espresso anche dall'insegnamento consolidato per cui nelle società di capitali deve considerarsi legittima la clausola statutaria che preveda la gratuità dell'incarico. Quindi, il presupposto di tale rinunciabilità è la sussistenza del diritto al compenso, conseguente all'accettazione della carica di amministratore di società. Ovviamente, l'assenza della delibera e della disposizione statutaria in relazione alla quantificazione del compenso, onera il giudice di merito di verificare la congruità del compenso prelevato dall'amministratore per sé stesso, sia rispetto alla prestazione assicurata, sia in ordine alla funzionalizzazione della stessa all'interesse della società.

Pertanto deve affermarsi il principio per cui, a seguito dell'accettazione rituale della carica di amministratore di una società di capitali, quest'ultimo ha diritto al compenso per l'attività svolta e spetta al giudice del merito verificare se, anche in assenza di delibera assembleare o di previsione statutaria in merito alla quantificazione dello stesso, ricorra il delitto di bancarotta preferenziale piuttosto che quello di bancarotta fraudolenta per distrazione, a seconda che il diritto al compenso sia correlato ad una prestazione effettiva o meno e che il prelievo dalle casse sociali sia o meno congruo rispetto all'impegno profuso.

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