Con sentenza n. 2360 del 24 gennaio 2024, la seconda sezione civile della Corte di Cassazione ha affrontato la questione della idoneità della forma del verbale di conciliazione a fungere da valido contenitore formale per raccogliere una volontà delle parti che non si limiti a prevedere un semplice trasferimento di diritti immobiliari, anche in ragione di una causa latamente transattiva ovvero per finalità di adempimento di precedenti obbligazioni, ma per uno scopo esclusivamente liberale, come appunto nell’ipotesi di donazione.
Quanto all’efficacia degli accordi raggiunti dinanzi all’autorità giudiziaria, va richiamato quanto di recente affermato dalle Sezioni Unite che hanno statuito che le clausole dell'accordo di separazione consensuale o di divorzio a domanda congiunta, che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni - mobili o immobili - o la titolarità di altri diritti reali, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi o dei figli al fine di assicurarne il mantenimento, sono valide in quanto il predetto accordo, inserito nel verbale di udienza redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è stato attestato, assume forma di atto pubblico ex art. 2699 c.c. e, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo il decreto di omologazione della separazione o la sentenza di divorzio, valido titolo per la trascrizione ex art. 2657 c.c., purché risulti l'attestazione del cancelliere che le parti abbiano prodotto gli atti e rese le dichiarazioni di cui all'art. 29, comma 1-bis, L. n. 52 del 1985, come introdotto dall'art. 19, comma 14, D.L. n. 78 del 2010, conv. con modif. dalla L. n. 122 del 2010, restando invece irrilevante l'ulteriore verifica circa gli intestatari catastali dei beni e la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari (Cass. civ., sez. un., n. 21761/2021). È stato così risolto il controverso tema dell’ammissibilità di accordi traslativi della proprietà immobiliare in sede di accordi intervenuti tra coniugi in occasione della separazione ovvero del divorzio, e ciò riconoscendosi la ammissibilità di siffatti accordi negoziali, e l’idoneità del verbale d’udienza a supplire alle esigenze di forma prescritte per il compimento di tali atti. La peculiarità della vicenda qui in esame è però correlata alla tipologia dell’atto posto in essere in sede di conciliazione, e precisamente al fatto che le parti intesero dare vita ad una donazione, atto per il quale la legge prevede ex art. 782 c.c., la forma dell’atto pubblico. La dottrina che ha avuto modo di occuparsi della questione, sebbene non abbia affermato l’esclusività dell’atto notarile per la redazione di una donazione, ha però avuto modo di rimarcare che la legge in tal caso non si accontenta di un qualsiasi atto pubblico, ma impone per questo un peculiare regime di maggior rigore, dovendo reputarsi che, ai sensi dell’art. 48, comma 1, L. n. 89/1913, che ha avuto conferma anche a seguito della legge n. 246/2005, espressamente si impone per la redazione di una donazione la presenza di due testimoni, ai quali non è possibile rinunciare. In via generale si ritiene che vari pubblici ufficiali siano abilitati a ricevere contratti, e precisamente, oltre ai notai, cui la legge affida in via generale tale competenza, i consoli, alcuni funzionari della pubblica amministrazione ed i cancellieri. Ma se per i notai la competenza è generale, per le altre categorie la competenza è invece specifica e limitata, come si ricava anche dal dettato dell’art. 2699 c.c. La dottrina ha però evidenziato che tendenzialmente di carattere generale, ma al ricorrere dei presupposti cui la legge abilita la loro attività, è anche la competenza dei consoli (cfr. art. 28 D.L.vo n. 71/2011, che ha sostituito le analoghe previgenti disposizioni di cui al d.P.R. n. 200/1967). Inoltre, il riferimento alle funzioni notarili, attenendosi alla legislazione nazionale ha indotto la prevalente dottrina a concludere nel senso che anche il console deve in ogni caso rispettare i requisiti di forma previsti per la donazione dalla legge italiana, risultando quindi imprescindibile la presenza dei testimoni (con la sola possibilità di deroga al requisito della residenza in Italia per i testimoni che non siano anche cittadini italiani). Quanto agli ufficiali della pubblica amministrazione, e precisamente per quanto concerne i segretari comunali e provinciali, la dizione di cui all’art. 97, comma 4, lett. c), D.L.vo n. 267/2000, permette che possano rogare su richiesta dell'ente i contratti nei quali l'ente è parte e autenticare scritture private ed atti unilaterali nell'interesse dell'ente (formula che ripropone nella sostanza quanto già previsto dal RD n. 383/1934). È quindi prevalsa la tesi che, alla luce delle norme in esame, i segretari comunali possano rogare solo atti nei quali ente locale fosse intervenuto come acquirente, restando però esclusa la possibilità di rogare donazioni, stante la specifica riserva ricavabile dall’art. 2699 c.c. La giurisprudenza di legittimità occupatasi del tema ha sempre affermato che sono nulle eventuali donazioni rogate dal segretario comunale (Cass. civ., sez. un.: n. 470/1955; Cass. civ. n. 2983/1957; Cass. civ. n. 3136/1960; Cass. civ. n. 1738/1964; Cass. civ. n. 329/1963 che espressamente limita il potere di stipula dei segretari ai soli contratti commutativi), sebbene in dottrina qualche voce si sia espressa a favore della possibilità di rogare atti di donazione, purché però il Comune risulti donatario. I limiti al potere di stipulare donazioni per altri pubblici funzionari può ritenersi quindi di carattere generale, essendo stati ad esempio ribaditi, per quanto concerne i funzionari della contabilità generale, per un atto di donazione rogato ai sensi dell’art. 16, R.D. n. 2440/1923, anziché con atto notarile (Cass. civ. n. 2892/1962, si veda anche Cass. civ. n. 11311/1996). Se quindi è preclusa la possibilità di rogare atti di donazione che vedano come parte l’ente di appartenenza, a maggior ragione risulta preclusa la possibilità di stipulare atti di donazione che coinvolgano solo soggetti privati. Ad analoghe conclusioni deve poi pervenirsi anche in relazione alla competenza dei cancellieri che possono attribuire pubblica fede alle dichiarazioni rese dalle parti nei verbali di udienza o di conciliazione, dovendosi però reputare preclusa la possibilità di ricevere atti negoziali, per i quali, come per la donazione, la legge prescriva una forma particolare. A tal fine valga anche il richiamo a quanto affermato da Cass. civ. n. 2700/1995, secondo cui, anche nel procedimento per la separazione consensuale, di cui all'art. 711 c.p.c., il provvedimento di omologazione del Tribunale, operando sul piano del controllo, ha lo scopo di attribuire efficacia all'accordo privato dall'esterno, senza operare alcuna integrazione della volontà negoziale delle parti; pertanto, ove nell'accordo i coniugi abbiano convenuto una donazione, l'omologazione non vale a rivestire l'atto negoziale della forma dell'atto pubblico, richiesto dall'art. 782 c.c., che gli artt. 2699 e 2700 c.c. impongono sia "redatto" e "formato" dal pubblico ufficiale. Né può indurre a diverse conclusioni quanto affermato da Cass. civ. 4 febbraio 1941, che riconobbe la validità della dichiarazione ricevuta dal Presidente del Tribunale, nel raccogliere il consenso del coniuge per la separazione personale, con la quale il marito attribuiva al figlio la proprietà ed alla moglie l’usufrutto di una polizza assicurativa, trattandosi all’evidenza di dichiarazioni non aventi carattere di donazione, ma piuttosto di adempimento del debito alimentare, e che rientrano a ben vedere nell’ambito di quegli accordi che le Sezioni Unite del 2021 hanno ritenuto suscettibili di essere contenuti nel verbale redatto in occasione della separazione o del divorzio.
WEBINAR
PACCHETTO ESERCITAZIONI TUTTE LE MATERIE - CONFRONTO INDIVIDUALE CON I PROFESSORI
Alberto Marcheselli, Giuliana Passero, Massimo Scuffi