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La morfologia e la funzione del danno non patrimoniale

Autore: Valerio de Gioia
Data: 07 Settembre 2023

Con ordinanza n. 26140 del 7 settembre 2023, la terza sezione civile della Corte di Cassazione ha operato una ricognizione della morfologia e della funzione del danno non patrimoniale, come recentemente ed ormai concordemente ricostruite dalla giurisprudenza di legittimità.

Sul piano del diritto positivo – come anche di recente precisato dalla giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le tante, Cass. civ. n. 2788 del 2019; n. 901 e n. 7513 del 2018, n. 7766 del 2016, anche in relazione a Corte Cost. n. 325/2014) – l’ordinamento riconosce e disciplina (soltanto) le fattispecie del danno patrimoniale (nelle due forme del danno emergente e del lucro cessante: art. 1223 c.c.) e del danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.; art. 185 c.p.). Quanto al danno non patrimoniale, ne è stata originariamente affermata, su di un piano generale di ricostruzione analitica della fattispecie, la natura “unitaria” e “onnicomprensiva” dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. civ. n. 26972 del 2008). In particolare, l’unitarietà del danno non patrimoniale va intesa nel senso che qualsiasi pregiudizio non patrimoniale sarà soggetto alle medesime regole ed ai medesimi criteri risarcitori (artt. 1223, 226, 2056, 2059 c.c.); mentre la onnicomprensività del danno non patrimoniale va intesa come obbligo, per il giudice di merito, di tener conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze (modificative “in peius” della precedente situazione del danneggiato) derivanti dall’evento di danno, con il concorrente limite di evitare duplicazioni (attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici). Orbene, il giudice di merito – in vista dell’accertamento (concreto e non astratto) e della quantificazione del danno non patrimoniale risarcibile – è sollecitato a procedere a compiuta istruttoria, dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, ivi compresi, oltre alla testimonianza, il fatto notorio, le massime di esperienza, le presunzioni. In tale prospettiva, egli deve tenere conto, oltre che di quanto statuito dalla Corte costituzionale (n. 235 del 2014, punto 10.1 e ss.), di quanto disposto dal legislatore nazionale in sede di riforma degli artt. 138 e 139 C.d.a., modificati dall’art. 1, comma 17, della L. 4 agosto 2017, n. 124, la cui nuova rubrica (“danno non patrimoniale”, sostituiva della precedente, “danno biologico”), e il cui contenuto letterale impongono al giudice di distinguere, su di un piano generale ed al di là della specifica sedes materiae, il danno dinamico-relazionale dal danno morale. Conseguentemente, nella valutazione del danno alla salute, in particolare – ma non diversamente che in quella di tutti gli altri danni alla persona conseguenti alla lesione di un valore/interesse costituzionalmente protetto, giusta l’insegnamento della Corte costituzionale di cui alla sentenza 233/2003 – il giudice di merito deve valutare la fenomenologia della lesione non patrimoniale: sia nell’aspetto interiore del danno sofferto (cd. danno morale, che si colloca nella dimensione del rapporto del soggetto con sé stesso), che nell’aspetto dinamico-relazionale della vita del danneggiato (c.d. danno relazionale, che si colloca nell’ambito della relazione del soggetto con la realtà esterna, con tutto ciò che, in altri termini, costituisce “altro da sé”). Tale regola di giudizio, ormai costantemente affermata dai giudici di legittimità, si pone in una linea di assoluta continuità con i principi diacronicamente (ma costantemente) predicati, in passato, dalla giurisprudenza della stessa Corte costituzionale (sentenze n. 235/2014, 233/2003, 293/1996, 372/1994, 184/1986), della Corte di Giustizia europea (sent. C-371/2012 del 23 gennaio 2014) e delle stesse Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un. n. 6276 del 2006; quanto alla giurisprudenza di legittimità a sezioni semplici, per tutte, Cass. n. 8827/2003). Anche (ma non solo) alla luce della novella legislativa poc’anzi ricordata – novella di cristallina chiarezza anche sul piano strettamente lessicale – occorre pertanto riaffermare il principio per cui esiste (è sempre esistita, anche prima del ricordato intervento normativo) una ontologica differenza tra danno morale e danno dinamico-relazionale, in quanto il danno alla persona, nella sua dimensione umana ancor prima che giuridica, postula il riconoscimento, da un lato, della sofferenza interiore, dall’altro, delle mutate dinamiche relazionali di una vita che cambia a seguito dell’illecito (illuminante, in tal senso, è il disposto normativo di cui all’art. 612-bis c.p., in tema di presupposti palesemente alternativi del reato cd. di stalking). Si tratta di danni diversi e perciò entrambi autonomamente risarcibili, sempre che, e solo se, provati caso per caso, all’esito, si ribadisce, di articolata ed esaustiva istruttoria (c.d. comprovabilità del danno non patrimoniale), tenendo conto che il danno dinamico relazionale può formare oggetto di prova rappresentativa diretta, mentre il risarcimento del danno morale può rappresentare soltanto l’esito terminale di un ragionamento deduttivo, che tenga conto (oltre che delle presunzioni) del notorio e delle massime di esperienza. Al riguardo, giova anche osservare che il c.d. danno presuntivo è concetto autonomo e distinto rispetto al c.d. danno in re ipsa – la cui giuridica predicabilità deve peraltro ritenersi del tutto esclusa in seno all’attuale sistema della responsabilità civile: Cass.  civ., sez. un. 26972/2008, cit. Se, infatti, per quest'ultimo non è richiesta alcuna allegazione da parte del danneggiato, sorgendo il diritto al risarcimento del danno per il sol fatto del ricorrere di una determinata condizione di fatto, il primo richiede un'allegazione ed una dimostrazione, seppur presuntiva, che è sempre suscettibile di essere superata da una eventuale prova contraria allegata da controparte.

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