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Occupazione acquisitiva e risarcimento del danno

Autore: Valerio de Gioia
Data: 04 Aprile 2024

Con sentenza n. 3489 del 4 aprile 2024, la quarta sezione del Consiglio di Stato ha affermato che l’istituto dell’occupazione acquisitiva era configurabile quando l’amministrazione - in assenza di un decreto di autorizzazione all’immissione in possesso ovvero in violazione dei termini di durata massima del possesso senza che si fosse legittimamente svolta la procedura di espropriazione - trasformava in modo irreversibile il bene al fine di realizzare un’opera pubblica.

La Corte di Cassazione aveva ritenuto che il comportamento illecito di trasformazione del bene, sussistendo una valida dichiarazione di pubblica utilità, comportava il trasferimento del diritto di proprietà del bene in capo all’amministrazione (Cass. civ., sez. un., 26 febbraio 1983, n. 1463). L’unica forma di tutela per il privato era costituita dalla domanda di risarcimento del danno per la perdita del diritto di proprietà, senza che fosse consentito proporre l’azione di restituzione del bene. Sul piano interno, tale istituto era contrario al principio costituzionale di legalità dell’azione amministrativa (art. 42 Cost.), in quanto si ammetteva il trasferimento del diritto di proprietà mediante un comportamento illecito in assenza di una norma che autorizzasse l’operatività di tale meccanismo traslativo. Sul piano convenzionale, la Corte di Strasburgo ha ritenuto l’occupazione acquisitiva contraria all’art. 1 del primo Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo non per l’assenza di una base legale, potendo tale base essere rappresentata anche da uno stabile orientamento giurisprudenziale, quanto per l’assenza di una regola giuridica prevedibile e accessibile (Corte Edu, 30 maggio 2000, ric. n. 24638 del 1994 e n. 31524 del 1996). In particolare, si è ritenuto che la giurisprudenza non avesse individuato in modo certo il momento di trasferimento del diritto di proprietà, essendo lo stesso dipendente dalla mera trasformazione materiale irreversibile del bene stesso. Ciò avrebbe creato conseguenze negative anche in ordine all’individuazione del momento di decorrenza del termine di prescrizione di cinque anni del diritto al risarcimento del danno. Il legislatore nazionale, prendendo atto delle esposte criticità costituzionali e convenzionali, ha introdotto nel sistema l’istituto della utilizzazione senza titolo mediante l’inserimento nel d.P.R. n. 327 del 2001 dell’art. 42-bis. Tale norma prevede che: i) «valutati gli interessi in conflitto, l’autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest’ultimo forfetariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene» (comma 1); ii) «il provvedimento di acquisizione può essere adottato anche quando sia stato annullato l’atto da cui sia sorto il vincolo preordinato all’esproprio, l’atto che abbia dichiarato la pubblica utilità di un’opera o il decreto di esproprio» (comma 2, primo inciso); iii) «il provvedimento di acquisizione può essere adottato anche durante la pendenza di un giudizio per l’annullamento» dei suddetti atti «se l’amministrazione che ha adottato l’atto impugnato lo ritira» (comma 2, secondo inciso); iv) l’indennizzo per il pregiudizio patrimoniale «è determinato in misura corrispondente al valore venale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità», aggiungendosi che «per il periodo di occupazione senza titolo è computato a titolo risarcitorio, se dagli atti del procedimento non risulta la prova di una diversa entità del danno, l'interesse del cinque per cento annuo sul valore determinato» del bene stesso (comma 3); v) «il provvedimento di acquisizione, recante l’indicazione delle circostanze che hanno condotto alla indebita utilizzazione dell’area e se possibile la data dalla quale essa ha avuto inizio, è specificamente motivato in riferimento alle attuali ed eccezionali ragioni di interesse pubblico che ne giustificano l’emanazione, valutate comparativamente con i contrapposti interessi privati ed evidenziando l’assenza di ragionevoli alternative alla sua adozione (…) (comma 4, primo inciso); vi) «l’atto è notificato al proprietario e comporta il passaggio del diritto di proprietà sotto condizione sospensiva del pagamento delle somme dovute» ovvero del loro deposito presso la Cassa depositi e prestiti; «è soggetto a trascrizione presso la conservatoria dei registri immobiliari a cura dell’amministrazione procedente» (comma 4, secondo inciso). Le nuove forme di tutela sono costituite dalla possibilità per la parte di proporre l’azione di restituzione del bene mediante la proposizione dell’azione di rivendicazione del diritto di proprietà (art. 948 c.c.) ovvero dell’azione di risarcimento del danno in forma specifica (art. 2058 c.c.), oltre alla possibilità di ottenere il risarcimento del danno per il periodo di occupazione illegittima. L’unica possibilità per l’amministrazione di non restituire il bene è costituita dall’adozione di un provvedimento formale di acquisizione del bene stesso. L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la citata sentenza n. 4 del 2020, ha ritenuto che il privato, in alternativa all’azione restitutoria, non possa rinunciare al diritto di proprietà mediante la proposizione dell’azione risarcitoria volta ad ottenere il risarcimento del danno pari al valore del bene (sentenza n. 4 del 2020, cit.; nello stesso senso sentenza 20 gennaio 2020, n. 2). La principale ragione posta alla base di questa affermazione è costituita dalla necessità di assicurare il rispetto del principio di legalità, avendo il legislatore previsto, quale unica forma di passaggio del diritto di proprietà, l’adozione del provvedimento di acquisizione. L’Adunanza plenaria, con le suddette sentenze, ha anche affermato che «se, ove sia invocata la sola tutela restitutoria e/o risarcitoria prevista dal codice civile e non sia richiamato l’art. 42-bis, il giudice amministrativo può qualificare l’azione come proposta avverso il silenzio dell’Autorità inerte in relazione all’esercizio dei poteri ex art. 42-bis». Si è rilevato che «l’ordinamento processuale amministrativo offre un adeguato strumentario per evitare, nel corso del giudizio, che le domande proposte in primo grado, congruenti con quello che allora appariva il vigente quadro normativo e l’orientamento giurisprudenziale di riferimento assurto a diritto vivente, siano di ostacolo alla formulazione di istanze di tutela adeguate al diverso contesto normativo e giurisprudenziale vigente al momento della decisione della causa in appello». Esse sono «la conversione della domanda ove ne ricorrano le condizioni, la rimessione in termini per errore scusabile ai sensi dell’art. 37 c.p.a. o l’invito alla precisazione della domanda in relazione al definito quadro giurisprudenziale, in tutti i casi previa sottoposizione della relativa questione processuale, in ipotesi rilevata d’ufficio, al contraddittorio delle parti ex art. 73, comma 3, c.p.a., a garanzia del diritto di difesa di tutte le parti processuali». In definitiva, il mutamento del quadro normativo può essere evocato sia nel caso in cui sia stato proposto un ricorso con richiesta del risarcimento del danno nel periodo in cui era ritenuto legittimo l’istituto dell’occupazione acquisitiva sia nel caso in cui sia stata proposta una domanda di risarcimento del danno con implicita rinuncia abdicativa prima dell’affermazione del principio da parte dell’Adunanza plenaria che esclude la configurabilità di tale rinuncia. In questi casi, l’azione proposta si può convertire in azione avverso il silenzio dell’amministrazione in ordine alla scelta relativa all’adozione del provvedimento acquisitivo ovvero alla restituzione del bene con assegnazione di un termine per effettuare tale scelta.

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