Con sentenza n. 11103 del 9 gennaio 2024-15 marzo 2024, la quinta sezione penale della Corte di Cassazione è intervenuta sui limiti ai benefici penitenziari.
Va premesso che l'art. 4-bis Ord. pen. stabilisce, per le categorie di persone detenute e internate ivi previste, condizioni particolarmente restrittive per l'accesso alle misure alternative e trattamentali, tra le quali, per quanto qui di interesse, rientrano i permessi premio. Nella sua configurazione normativa precedente alla sentenza n. 253 del 23 ottobre 2019 della Corte costituzionale, l'art. 4-bis Ord. pen. prevedeva, con riferimento ai reati cd. di prima fascia (tra i quali rientrano quelli, qui in considerazione, previsti dall'art. 416-bis cod. pen. o comunque aggravati dal metodo mafioso o dall'agevolazione di una associazione mafiosa) che la persona detenuta o internata avesse necessariamente collaborato con la giustizia ai sensi dell'art. 58-ter Ord. pen. ovvero che fosse stata accertata la l'impossibilità, irrilevanza o inesigibilità della sua collaborazione. Tale regime giuridico è stato ritenuto costituzionalmente illegittimo dalla Consulta, la quale, con la citata sentenza, ha dichiarato il contrasto tra l'art. 4-bis, comma 1, Ord. pen. e gli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost. nella parte in cui detta disposizione non prevedeva che, ai detenuti per i delitti di cui all'art. 416-bis cod. pen. e per quelli commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni in esso previste, potessero essere concessi permessi premio anche in assenza di collaborazione con la giustizia a norma dell'art. 58-ter Ord. pen., allorché fossero stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di essi. Nel frangente, la Corte costituzionale ha affermato l'illegittimità di una presunzione assoluta di pericolosità correlata alla mancata collaborazione, essendo tale presunzione ragionevole solo se prevista in termini relativi. In altri termini, mentre non è irragionevole presumere che il condannato non collaborante non abbia rescisso i legami con l'organizzazione criminale di originaria appartenenza, è irragionevole ritenere che essa non possa essere superata quando siano stati acquisiti elementi tali da escludere che il detenuto abbia ancora collegamenti con l'associazione criminale o che vi sia il pericolo del ripristino di questi rapporti. Fermo restando che, ai fini di tale accertamento, la Consulta ha affermato la necessità che la valutazione avvenga sulla base di criteri particolarmente rigorosi, proporzionati alla forza del vincolo criminale di cui si esige il definitivo abbandono dalla persona detenuta, di tal che deve ritenersi insufficiente, da parte di quest'ultima, il mero regolare comportamento, la sola partecipazione al percorso rieducativo e tantomeno una semplice dichiarazione di dissociazione. E sulla scorta di tali indicazioni, nel periodo successivo alla declaratoria di incostituzionalità, la giurisprudenza di legittimità e di merito ha, dunque, ritenuto che la collaborazione con la giustizia o, comunque, l'accertamento della sua impossibilità o inesigibilità non fosse più condizione di ammissibilità dell'istanza del beneficio. Con il D.L. n. 162 del 2022, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199, l'art. 4-bis Ord. pen. è stato modificato e, per quanto di interesse in questa sede, con riferimento ai reati di prima fascia è stato stabilito, al comma 1, che i benefici penitenziari (assegnazione al lavoro all'esterno 4 e permessi premio) e le misure alternative alla detenzione possono essere concessi ai detenuti e internati per tali delitti solo nei casi in cui essi collaborino con la giustizia a norma dell'art. 58-ter Ord. pen.; e, al successivo comma 1-bis, che i predetti benefici e misure possono essere concessi, anche in assenza di collaborazione con la giustizia, ai detenuti e agli internati per i delitti menzionati purché gli stessi dimostrino l'adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l'assoluta impossibilità di tale adempimento e alleghino elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione dall'organizzazione criminale di eventuale appartenenza, che consentano di escludere l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato è stato commesso, nonché il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, tenuto conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile. E, al fine della concessione dei benefici, il giudice accerta, altresì, la sussistenza di iniziative dell'interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa. Tali disposizioni sono applicabili, nei confronti della persona condannata per reati ostativi cd. "di prima fascia" che non abbia collaborato con la giustizia, qualora il relativo procedimento di applicazione sia in corso, avuto riguardo alla natura processuale delle norme inerenti ai benefici penitenziari come il permesso premio, che, in assenza di una specifica disciplina transitoria, soggiacciono al principio del tempus regit actum (Cass. pen., sez. I, 20 aprile 2023, n. 38278). Sulla base della nuova disciplina, qualora la persona detenuta presenti, come nel caso di specie, richiesta di permesso premio, essa dovrà allegare specificamente i concreti elementi in base ai quali, anche in via logica, escludere sia l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo di un loro ripristino (si veda sul punto Cass. pen., sez. I, 14 luglio 2021, n. 33743, la quale, pronunciata nella vigenza della precedente disciplina mantiene intatta la rilevanza delle sue considerazioni anche con riferimento a quella introdotta dalla novella). Dovendo, poi, il giudice, a seguito di tali allegazioni, compiere un esame in concreto degli elementi «individualizzanti» che caratterizzano il percorso rieducativo della persona detenuta, dai quali si possa desumere la proiezione attuale a recidere i collegamenti criminali mafiosi e a non riattivarli in futuro (Cass. pen., sez. V, 28 febbraio 2022, n. 19536).
LIBRO
Codice penale e di procedura penale e leggi complementari - vigente
Luigi Alibrandi, Piermaria Corso
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Violenza di genere e domestica: strumenti di tutela e prospettive di riforma - Live webinar
Valerio de Gioia