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Per la società «in house»: obbligatorio il rispetto dei principi di imparzialità e buon andamento nel reclutamento del personale

Autore: Cristina Tonola
Data: 15 Giugno 2023

La terza sezione del Consiglio di Stato, con sentenza n. 5885 del 15 giugno 2023, ha richiamato il quadro normativo che disciplina le società in house providing, affrontando, in particolare, la questione della compatibilità della clausola sociale con le procedure di reclutamento di personale previste per le società in house.

L’in house providing è una formula di derivazione comunitaria, teorizzata per la prima volta nella sentenza CGUE 18 novembre 1999, nella causa C-107/1198, nota comunemente come sentenza “Teckal”. In questo arresto giurisprudenziale, il giudice sovrannazionale ha fissato due punti: da un lato, l’obbligo di procedere ad aggiudicare un servizio tramite gara ad evidenza pubblica trova eccezione nei casi in cui non sussista una distinzione soggettiva tra l’amministrazione aggiudicatrice e il prestatore di servizio; dall’altro, secondo il principio della neutralità della forma giuridica, quest’ultima non è rilevante ai fini dell’attività; ciò che è dirimente è il regime giuridico cui i vari soggetti sono sottoposti. Nella sentenza richiamata, sono stati individuati i due elementi che determinato il costituirsi dell’ in house: l’ente affidante deve esercitare sul soggetto gestore un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi e l’ente gestore deve svolgere la maggior parte della propria attività nei confronti dell’ente o degli enti che lo controllano.

Dopo una evoluzione giurisprudenziale sia di diritto interno che di diritto comunitario sui due requisiti, il legislatore italiano ha compiutamente disciplinato l’istituto ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 16, D.L.vo 19 agosto 2016, n. 175 e art. 5, D.L.vo 18 aprile 2016, n. 50. La giurisprudenza amministrativa, in materia, ha avuto modo di precisare che la società in house non può qualificarsi come un'entità posta al di fuori dell'Ente pubblico, il quale ne dispone come di una propria articolazione interna: essa, infatti, rappresenta un'eccezione rispetto alla regola generale dell'affidamento a terzi mediante gara ad evidenza pubblica, giustificata dal diritto comunitario con il rilievo che la sussistenza delle relative condizioni legittimanti esclude che l' in house contract configuri, nella sostanza, un rapporto contrattuale intersoggettivo tra aggiudicante ed affidatario, perché quest'ultimo è, in realtà, solo la longa manus del primo; talché l'Ente in house non può ritenersi terzo rispetto all'Amministrazione controllante ma deve considerarsi come uno dei servizi propri dell'Amministrazione stessa e ciò non cambia ove si ritenga che, in linea con la più recente normativa europea e nazionale, il ricorso all'in house providing si atteggi in termini di equiordinazione - e non più di eccezionalità - rispetto alle altre forme di affidamento (così, Cons. Stato, sez. III, 27 agosto 2021, n. 6062; Cons. Stato, Ad. Plen., 3 marzo 2008, n. 1).

Dal quadro normativo e giurisprudenziale emerge che la società in house è una “longa manus” dell’Amministrazione, dovendo, per conseguenza, rispettare, nell’ambito della sua attività, i principi che informano l’agere amministrativo.

Per quanto attiene allo specifico profilo del reclutamento del personale, il Testo Unico in materia di società a partecipazione pubblica sopra richiamato ha avvicinato il più possibile, pur considerando le differenze sostanziali, il regime previsto per le società in house a quello delle pubbliche amministrazioni in senso stretto. L’art. 19, D.L.vo 19 agosto 2016, n. 175 prevede che: "1. Salvo quanto previsto dal presente decreto, ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle società a controllo pubblico si applicano le disposizioni del capo I, titolo II, del libro V del codice civile, delle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, ivi incluse quelle in materia di ammortizzatori sociali, secondo quanto previsto dalla normativa vigente, e dai contratti collettivi. 2. Le società a controllo pubblico stabiliscono, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale nel rispetto dei principi, anche di derivazione europea, di trasparenza, pubblicità e imparzialità e dei principi di cui all'art. 35, comma 3, D.L.vo 30 marzo 2001, n. 165. In caso di mancata adozione dei suddetti provvedimenti, trova diretta applicazione il suddetto art. 35, comma 3, D.L.vo n. 165/2001”.  Il riferimento al comma 3 dell’art. 35, D.L.vo n. 165/2001 comporta che i principi cui si conformano le procedure di reclutamento nella pubblica amministrazione – pubblicità, imparzialità, economicità, decentramento delle procedure selettive, celerità, adozione di meccanismi oggettivi e trasparenti, rispetto delle pari opportunità di genere, professionalità ed indipendenza delle Commissioni esaminatrici – sono applicabili, rectius, sono obbligatori per le società in house. Della particolare questione dell’utilizzabilità delle clausole sociali e della conseguente compatibilità con le procedure di reclutamento di personale previste per il pubblico impiego in senso stretto ha avuto modo di esprimersi anche la giustizia contabile (cfr. Corte dei Conti Liguria, sentenza n. 14/2019 e Corte dei Conti Lombardia, sentenza n. 184/2017).

Alla luce del quadro normativo e giurisprudenziale summenzionato, deve rilevarsi che la compatibilità della clausola sociale con le procedure di reclutamento di personale previste per le società in house, non può risolversi nella previsione di un canale preferenziale per i lavoratori che non hanno superato una selezione pubblica. Diversamente affermando, si correrebbe il rischio di determinare una discriminazione al contrario nei confronti di coloro i quali sono stati assunti a seguito di una selezione bandita secondo i criteri di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione. 

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