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Ai fini dell'accertamento del reato di corruzione è necessario dimostrare che il compimento dell'atto sia stato la causa della prestazione dell'utilità e della sua accettazione da parte del pubblico ufficiale

Autore: Valerio de Gioia
Data: 22 Gennaio 2024

Con sentenza n. 2749 del 3 ottobre 2023-22 gennaio 2024, la sesta sezione penale della Corte di Cassazione è intervenuta in tema di corruzione.

Nel sistema precedente alla riforma attuata con la L. 6 novembre 2012, n. 190, il reato di corruzione esprimeva una concezione c.d. mercantile; si incriminava la pattuizione avente ad oggetto la compravendita di singoli atti amministrativi, conformi o contrari ai doveri d'ufficio. Nell'ambito dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, erano disciplinati i distinti reati di corruzione propria o per atti contrari ai doveri d'ufficio, di cui all'art. 319 c.p., e di corruzione impropria o per atto d'ufficio, punita dall'art. 318 c.p. La relativa linea di discrimine riguardava l'oggetto del patto corruttivo e, in particolare, la conformità o meno ai doveri d'ufficio dell'atto compiuto. Il chiaro riferimento all'atto dell'ufficio aveva tuttavia fatto emergere evidenti difficoltà in tutti i casi di sistemici rapporti "clientelari" tra soggetti pubblici e privati, cioè quei rapporti che prescindevano da una stretta logica di formale sinallagma, in quanto fondati non sul mercimonio di specifici atti - singoli o molteplici - quanto, piuttosto, sull'asservimento della parte pubblica, che si poneva stabilmente a disposizione di quella privata. In particolare, l'ineffettività del sistema, la sua incapacità a fornire una limpida risposta, la sua inadeguatezza strutturale emergeva in maniera evidente in tutti i casi in cui il patto corruttivo aveva ad oggetto "il rapporto" tra soggetto pubblico e privato e ruotava su interessenze sganciate "a monte" dal compimento di specifici atti, che, peraltro, in molti casi non erano rinvenibili nemmeno ex post. Si trattava di casi in cui l'oggetto del patto corruttivo era, per così dire, muto, nel senso che al momento in cui l'accordo illecito veniva concluso, il pubblico ufficiale non "vendeva" attraverso se stesso, il suo essere pubblico ufficiale, la sua funzione, il futuro esercizio del potere pubblico. L'effetto che ne era conseguito era stato il sostanziale mutamento dell'oggetto dello scambio corruttivo, passato dall'atto alla funzione del pubblico agente. Tale traslazione si era verificata nel corso del tempo attraverso: a) la dematerializzazione dell'elemento di fattispecie di corruzione propria dell'atto di ufficio; b) la inclusione nella nozione di atto d'ufficio dei meri comportamenti, ovvero l'affermazione di principio secondo cui sarebbe stato sufficiente la individuabilità nel genere dell'atto; c) la interpretazione estensiva dello stesso concetto di atto contrario ai doveri d'ufficio, ravvisata anche nei casi in cui l'atto, pur formalmente legittimo, persegua "finalità diverse"; la questione, come meglio si dirà, attiene all'esercizio dell'attività discrezionale ed in tale contesto si era tendenzialmente ritenuto di ravvisare "sempre" la corruzione propria, addebitando al pubblico agente la violazione di doveri generali e, in particolare, di quello d'imparzialità, per il fatto oggettivo di avere ricevuto denaro o altra utilità; d) l'affermazione secondo cui la corruzione propria era ravvisabile anche nel caso in cui la promessa o la dazione fossero riferiti nella previsione generica di eventuali, futuri, imprecisati atti, al fine di ottenere la benevolenza del soggetto corrotto; e) l'inevitabile sostanziale ridimensionamento della corruzione impropria, sussistente nei soli casi in cui il mercimonio riguardasse specifici atti conformi ai doveri d'ufficio e cioè, in sostanza, solo nei casi di compimento di atti vincolati. In tale contesto è intervenuta la L. n. 190 del 2012 che ha introdotto la nuova fattispecie di corruzione per la funzione prevista dall'art. 318 c.p. Con la nuova fattispecie: a) è scomparso il riferimento all'atto d'ufficio legittimo, adottato o da adottare da parte del pubblico ufficiale; b) il patto corruttivo ha per oggetto l'esercizio dei poteri o delle funzioni: il compenso che il pubblico agente riceve non retribuisce più il compimento di un atto non contrario ai doveri dell'ufficio, ma, più in generale, rimunera "la presa in carico" degli interessi di cui è portatore il privato; c) il consenso del funzionario pubblico alla pattuizione illecita deve essere accertato, atteso che l'accordo segna la linea di confine con la "nuova" istigazione alla corruzione (art. 322, comma 1, c.p.) in cui l'offerta e la promessa di denaro o altra utilità non è accettata dall'agente pubblico ovvero resta allo stadio di sollecitazione, se l'iniziativa proviene da quest'ultimo (art. 322, comma 3, c.p.); d) è stato configurato un reato eventualmente permanente, almeno nei casi di plurime dazioni indebite che trovano una loro ragione giustificatrice nel fattore unificante dell'asservimento della funzione pubblica (Cass. pen., sez. VI, 27 dicembre 2015, n. 3043, in cui la Corte ha qualificato in termini di corruzione per l'esercizio della funzione la condotta di un indagato che aveva stabilmente asservito le proprie funzioni di consigliere comunale, nonché di presidente e vicepresidente di commissioni comunali, agli scopi di società cooperative facenti capo ad altro coindagato; nello stesso senso, Cass. pen., sez. VI, 25 settembre 2014, n. 49226). Entrambe le fattispecie criminose previste dagli artt. 318 - 319 c.p. descrivono il perfezionamento di una pattuizione tra un privato e un soggetto qualificato, il cui oggetto tuttavia deve essere accertato. Concluso l'accordo, il reato è perfezionato e non assume rilievo decisivo la sua esecuzione; è l'accordo che si punisce, anche se intervenuto successivamente all'adozione dell'atto - legittimo o illegittimo che sia - ovvero all'esercizio della funzione. Ciò che accomuna le due fattispecie è il divieto di "presa in carico" d'interessi differenti da quelli che la legge persegue attraverso il pubblico agente; nella corruzione propria detta presa in carico riguarda e si manifesta con il compimento di un atto contrario, dunque con un atto specifico; nella corruzione per l'esercizio della funzione, invece, la "presa in carico" realizza un inquinamento di base, un asservimento diffusivo che ha la capacità di propagarsi in futuro, in modo non preventivato e non preventivabile rispetto al momento della conclusione del patto corruttivo. I delitti di corruzione puniscono il collateralismo clientelare o mercantile. Si tratta di un illecito che si sostanzia in condotte convergenti, tra loro in reciproca saldatura e completamento, idonee ad esprimere, nella loro fisiologica interazione, un unico delitto. Da ciò consegue che il reato si configura e si manifesta, in termini di responsabilità, solo se entrambe le condotte, del funzionario e del privato, in connessione indissolubile, sussistano probatoriamente e la perfezione dell'illecito avviene alternativamente con l'accettazione della promessa o con il ricevimento effettivo dell'utilità (cfr., Cass. pen., sez. VI, 4 maggio 2006, n. 33519). Ciò che deve essere processualmente accertato, anche in sede cautelare, è se il pubblico ufficiale abbia accettato una utilità, se quella utilità sia collegata all'esercizio della sua funzione, al compimento di quale atto quella utilità sia collegata, se quell'atto sia o meno conforme ai doveri di ufficio. Costituisce infatti principio più volte ribadito nella giurisprudenza di legittimità, quello secondo cui, ai fini dell'accertamento del reato di corruzione, nell'ipotesi in cui risulti provata la dazione di denaro o di altra utilità in favore del pubblico ufficiale, è necessario dimostrare che il compimento dell'atto sia stato la causa della prestazione dell'utilità e della sua accettazione da parte del pubblico ufficiale, non essendo sufficiente a tal fine la mera circostanza dell'avvenuta dazione (cfr., in particolare, Cass. pen., sez. VI, 6 maggio 2016, n. 39008; Cass. pen., sez. VI, 7 novembre 2011, n. 5017, nonché Cass. pen., sez. VI, 25 marzo 2010, n. 24439). 

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