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Anche chi ha proposto azione di ottemperanza può (limitarsi a) domandare l’accertamento dell’illegittimità dell’atto ai fini esclusivamente risarcitori

Autore: Giovanna Suriano
Data: 22 Gennaio 2024

Con sentenza n. 664 del 22 gennaio 2024, la quarta sezione del Consiglio di Stato è intervenuta sulla portata applicativa dell’art. 34, comma 3, c.p.a. a mente del quale: “Quando, nel corso del giudizio, l'annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l'illegittimità dell'atto se sussiste l'interesse ai fini risarcitori”.

La norma prevede un meccanismo di “conversione” della pronuncia costitutiva di annullamento, ex art. 29 c.p.a., in pronuncia di accertamento dell’illegittimità “se sussiste l'interesse ai fini risarcitori”. La ratio di tale meccanismo mira ad assicurare, in coerenza con l’art. 1 del c.p.a., una “tutela effettiva” del cittadino anche nel caso in cui – “nel corso del giudizio” – sia divenuta impossibile la tutela in forma specifica tramite l’annullamento dell’atto, ma si possa (e si debba) comunque fornire una tutela per equivalente. Il risarcimento diventa, così, l’unica forma di tutela cui l’interessato – illegittimamente colpito da un provvedimento viziato e lesivo – può aspirare.

L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza n. 8 del 2022, ha chiarito che, per procedersi all’accertamento dell’illegittimità dell’atto ai sensi dell’art. 34, comma 3, c.p.a, è sufficiente la dichiarazione di tale interesse, che può dunque essere anche solo astrattamente configurabile (come nel caso, ad esempio, dell’interesse morale della parte).

Orbene, anche se il dettato del comma 3 dell’art. 34 fa esplicito riferimento (soltanto) all’azione di annullamento, la medesima ratio legis impone di ritenere che il meccanismo di conversione possa essere invocato anche da chi rischia di perdere il bene della vita non a causa di un provvedimento illegittimo tout court, di cui “non risulta più utile l’annullamento”, ma a causa di un provvedimento nullo per violazione di un giudicato, nel caso in cui – sempre “nel corso del giudizio” – sia sopravvenuta la carenza d’interesse a una pronuncia sulla sussistenza di questo profilo di illegittimità. Tale conclusione discende dalla inderogabile necessità, per la giurisdizione amministrativa, di assicurare anche nel giudizio di ottemperanza “una tutela piena ed effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo”, secondo quanto stabilito dall’art. 1 c.p.a.. Questa norma, che pone all’inizio del codice del processo il fondamentale principio di effettività, deve assurgere a guida esegetica anche per l’interpretazione e l’applicazione delle altre disposizioni del codice, ivi compreso l’art. 34, comma 3, qui in questione. In caso contrario, la mera inerzia dell’amministrazione di fronte a una pronuncia del giudice rischierebbe di rendere inutile la pretesa del cittadino alla sua esecuzione, con perdita definitiva (anche “per equivalente”) del bene della vita cui è preordinata la domanda di nullità per violazione o elusione del giudicato e conseguente lesione anche del principio di effettività della tutela.

In definitiva, come chiarito dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, Ad. Plen., n. 2 del 2017), l'esecuzione della pronuncia giurisdizionale, espressione indefettibile del principio di effettività della tutela, ove non attuabile in forma specifica (in re o in kind), va garantita per equivalente (in money), attraverso la traduzione in termini valoristici del bene non più conseguibile in termini reali. In altri termini, a conferma della lettura estensiva proposta, va ritenuto che la norma di cui all'art. 34, comma 3, c.p.a., lungi dall'atteggiarsi a prescrizione eccezionale, costituisca estrinsecazione di un principio generale che, in ossequio a consolidati canoni processuali, consente l’emendatio riduttiva di ogni domanda volta all'accertamento dell’invalidità del provvedimento amministrativo, ivi compresa la patologia più radicale di cui all'art. 21-septies, L. n. 241 del 1990. Alla stregua di quanto esposto, anche chi ha proposto azione di ottemperanza ex art. 112 c.p.a. potrà (limitarsi a) domandare – come avvenuto nel caso di specie – l’accertamento dell’illegittimità dell’atto ai fini esclusivamente risarcitori ex art. 34, comma 3, del medesimo codice.

Ad ogni modo, anche qualora la suddetta domanda di accertamento dell’illegittimità del provvedimento gravato non fosse stata proposta, l’impugnazione avrebbe dovuto essere scrutinata: "la declaratoria di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse postula l’accertamento dell'inutilità della sentenza, e cioè che la modificazione della situazione di fatto e di diritto intervenuta in corso di causa impedisce di riconoscere in capo al ricorrente alcun interesse, anche meramente strumentale e morale, alla decisione" (cfr. ex multiis, tra le più recenti, Cons. Stato, sez. IV, 14 settembre 2023 n. 8322; Cons. Stato, sez. V, 27 ottobre 2021, n. 7228; Cons. Stato sez. V, 23 agosto 2021, n. 5978; Cons. Stato sez. II, 9 agosto 2021, n. 5811).

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