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Il bilanciamento tra diritto all’accesso difensivo del richiedente e la tutela della riservatezza del controinteressato

Autore: Giovanna Suriano
Data: 10 Gennaio 2025

Con sentenza n. 149 del 10 gennaio 2025, la terza sezione del Consiglio di Stato ha ribadito il consolidato orientamento giurisprudenziale, a più riprese sostenuto anche dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (cfr., Cons. Stato, Ad. Plen., 18 marzo 2021, n. 4, ma anche 25 settembre 2020, nn. 19, 20 e 21) in base al quale l’ostensione del documento passa attraverso un rigoroso vaglio sul nesso di strumentalità necessaria tra la documentazione richiesta e la situazione finale controversa, non potendosi ritenere sufficiente un generico riferimento a non meglio precisate esigenze probatorie e difensive, siano esse riferite a un processo già pendente oppure ancora instaurando.

Nel bilanciamento tra diritto all’accesso difensivo del richiedente e la tutela della riservatezza del controinteressato, quando non vengono in rilievo dati sensibili, “supersensibili” o giudiziari (come appunto nel caso degli atti di un procedimento disciplinare), la medesima decisione dell’Adunanza Plenaria ha osservato che, secondo la previsione dell’art. 24, comma 7, L. n. 241 del 1990, non trova applicazione né il criterio della stretta indispensabilità (riferito ai dati sensibili e giudiziari) né il criterio dell'indispensabilità e della parità di rango (riferito ai dati cc.dd. “supersensibili”), ma il criterio generale della “necessità” ai fini della “cura” e della “difesa” di un proprio interesse giuridico, ritenuto dal legislatore tendenzialmente prevalente sulla tutela della riservatezza, a condizione del riscontro della sussistenza dei presupposti generali dell’accesso documentale di tipo difensivo (sull’impossibilità di configurare i dati di un procedimento disciplinare alla stregua di dati sensibili o giudiziari si confronti anche Cons. Stato, Sez. III, 29 gennaio 2021, n. 884).

Il collegamento tra la situazione legittimante e la documentazione richiesta impone pertanto un’attenta analisi della motivazione che la pubblica amministrazione ha adottato nel provvedimento con cui ha accolto o, viceversa, respinto l’istanza di accesso.

Soltanto attraverso l’esame di questa motivazione, infatti, è possibile avere evidenza del suddetto collegamento e comparare l’esigenza di difesa con l’interesse alla riservatezza, con l’importante precisazione che la pubblica amministrazione detentrice del documento ed il giudice amministrativo, adìto nel giudizio di accesso ai sensi dell’art. 116 c.p.a., non devono svolgere alcuna ultronea valutazione sulla influenza o sulla decisività del documento richiesto nell’eventuale giudizio instaurato o instaurando, poiché un simile apprezzamento compete, se del caso, solo all’autorità giudiziaria investita della questione e non certo alla pubblica amministrazione o allo stesso giudice amministrativo nel giudizio sull’accesso. Né la pubblica amministrazione, né il giudice amministrativo, possono sostituirsi ex ante al giudice competente, effettuando inammissibili ed impossibili prognosi circa la fondatezza di una particolare tesi difensiva, alla quale la richiesta di accesso sia preordinata, salvo, ovviamente, il caso di una evidente, assoluta, mancanza di collegamento tra il documento e le esigenze difensive e, quindi, in ipotesi di esercizio pretestuoso o temerario dell’accesso difensivo stesso per la radicale assenza dei presupposti legittimanti previsti dalla L. n. 241 del 1990.

Il giudice amministrativo deve mantenere il proprio sindacato nei limiti della verifica sulla sussistenza dell’interesse (nel caso di specie emergente ex actis), potendo dichiarare la domanda infondata solo in caso di una evidente, assoluta, mancanza di collegamento tra il documento e le esigenze difensive e, quindi, in ipotesi di esercizio pretestuoso o temerario dell’accesso difensivo stesso per la radicale assenza dei presupposti legittimanti previsti dalla l. n. 241 del 1990.

A ciò deve poi aggiungersi che la giurisprudenza amministrativa si è più volte occupata della questione relativa alla legittimazione e all’interesse dell’autore di un esposto a prendere visione degli atti e dei provvedimenti attinenti ad un procedimento disciplinare, statuendo che “la qualità di autore di un esposto, che abbia dato luogo a un procedimento disciplinare, è circostanza idonea, unitamente ad altri elementi, a radicare nell’autore la titolarità di una situazione giuridicamente rilevante che, ai sensi dell’art. 22, L. n. 241 del 1990, legittima all’accesso nei confronti degli atti del procedimento disciplinare che da quell’esposto ha tratto origine. Più in particolare, la legittimazione all’accesso in capo all’appellante discende, nel caso in esame, dalla qualità di autore dell’esposto che ha dato origine al procedimento disciplinare e dalla concomitante circostanza che lo stesso appellante ha dato corso, per i medesimi fatti denunciati nella sede disciplinare, a un giudizio civile” (Cons. Stato, Ad. Plen., 20 aprile 2006, n. 7; Cons. Stato, sez. III, 27 gennaio 2021, n. 884).

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