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Il requisito di «omogeneità» della legge di conversione rispetto al relativo decreto legge

Autore: Valerio de Gioia
Data: 13 Febbraio 2024

Con sentenza n. 1424 del 13 febbraio 2024, la sesta sezione del Consiglio di Stato ha affermato che, da tempo, la giurisprudenza della Corte costituzionale abbia ricavato, in via ermeneutica, dall’art. 77 Cost. un requisito di “omogeneità” della legge di conversione rispetto al relativo decreto legge, poiché “l’inclusione di emendamenti e articoli aggiuntivi che non siano attinenti alla materia oggetto del decreto legge, o alle finalità di quest’ultimo, determina un vizio della legge di conversione in parte qua” (Corte Costituzionale, sentenza 25 febbraio 2014, n. 32). Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, la legge di conversione del decreto legge riveste i caratteri di una fonte “funzionalizzata e specializzata”, volta alla stabilizzazione del decreto legge nell’ordinamento, ragion per cui non può “aprirsi” ad oggetti eterogenei, rispetto a quelli presenti nel decreto, ma può solo contenere disposizioni coerenti con quelle originarie dal punto di vista materiale o finalistico (Corte Costituzionale, 26 gennaio 2023, n. 6; Id., 6 giugno 2023, n. 113; Id., 9 dicembre 2022, n. 245; Id., 5 novembre 2021, n. 210; Id., 29 ottobre 2019, n. 226). La legge di conversione, in altre parole, è rivolta unicamente a stabilizzare gli effetti del decreto legge, con la conseguenza che essa è limitatamente emendabile (Corte Costituzionale, 6 giugno 2023, n. 113). La ratio di tale indirizzo interpretativo è quella di “evitare che il relativo iter procedimentale semplificato, previsto dai regolamenti parlamentari [per la conversione in legge del decreto legge; nota del Collegio], possa essere sfruttato per scopi estranei a quelli che giustificano il decreto legge, a detrimento delle ordinarie dinamiche di confronto parlamentare” (Corte Costituzionale, 9 dicembre 2022, n. 245; Id., 5 novembre 2021, n. 210; Id., 29 ottobre 2019, n. 226; Id., 9 luglio 2015, n. 145; Id., 25 febbraio 2014, n. 32). La partecipazione parlamentare prevista nel procedimento di conversione del decreto legge in legge, difatti, è senz’altro più limitata rispetto a quanto avviene nell’ambito del procedimento legislativo ordinario e, pertanto, emerge “[l’]esigenza di preservare l’ordinaria funzionalità del procedimento legislativo di cui all’art. 72, primo comma, Cost., che permette una partecipazione parlamentare ben più efficace di quella consentita dall’iter, peculiare e contratto, della legge di conversione” (così Corte Costituzionale, 9 dicembre 2022, n. 245; cfr., inoltre, ex multis: Corte Costituzionale, 18 gennaio 2022, n. 8; Id., 30 aprile 2008, n. 128; Id., 23 maggio 2007, n. 171).

La Corte costituzionale ha, al riguardo, evidenziato come il procedimento parlamentare di conversione del decreto legge abbia carattere “peculiare”, caratterizzandosi per “tempi particolarmente rapidi” e “speciali modalità di procedura”, al fine di consentire la conversione in legge entro il termine costituzionale di sessanta giorni e, pertanto, l’inserimento nella legge di conversione di norme non omogenee rispetto al testo originario del decreto legge rappresenta un “uso improprio da parte del Parlamento” della procedura prevista per tale tipico scopo (Corte Costituzionale, 16 febbraio 2012, n. 22). Ciò, peraltro, si pone in armonia con l’ulteriore giurisprudenza di codesta Corte costituzionale in ordine all’uso improprio e c.d. strumentale del decreto legge, volta ad impedire deviazioni dal sistema costituzionale delle fonti normative e dalla centralità che è propria della sola legge ordinaria (ex multis: Corte Costituzionale, 23 maggio 2007, n. 171; Id., 27 gennaio 1995, n. 29; Id., 18 gennaio 2022, n. 8). La coerenza delle disposizioni aggiunte in sede di conversione, rispetto alla disciplina originaria del decreto legge, viene valutata sia dal punto di vista oggettivo-materiale, sia dal punto di vista funzionale-finalistico (ex plurimis: Corte Costituzionale, 5 marzo 2021, n. 30; Id., 4 dicembre 2019, n. 247; Id., 29 ottobre 2019, n. 226; Id., 16 luglio 2019, n. 181; Id., 24 settembre 2020, n. 204; Id., 15 maggio 2020, n. 93). Nel caso in cui vengano in rilievo decreti legge a contenuto plurimo, cioè con contenuti eterogenei ab origine, codesta Corte costituzionale ha ritenuto che occorra considerare specificamente anche il c.d. profilo teleologico, cioè porre attenzione all’osservanza di quella definita come ratio dominante, che ispira l’intervento normativo d’urgenza (ex multis: Corte Costituzionale, 18 gennaio 2022, n. 8; Id., 5 marzo 2021, n. 30; Id., 13 luglio 2020, n. 149; Id., 23 giugno 2020, n. 115; Id., 4 dicembre 2019, n. 247). Da ultimo, la sentenza della Corte costituzionale dell’11 dicembre 2023, n. 215, ha compendiato i plurimi fattori da tenere in considerazione nello scrutinio di legittimità delle norme inserite in sede di conversione di decreti legge a contenuto plurimo, ossia: i) la coerenza della norma, rispetto al titolo del decreto e al suo preambolo (Corte Costituzionale, 31 luglio 2020, n. 186; Id., 23 dicembre 2019, n. 288; Id., 4 marzo 2019, n. 33; Id., 27 giugno 2018, n. 137); ii) l’omogeneità contenutistica o funzionale della norma, rispetto al complessivo quadro normativo del decreto legge (Corte Costituzionale, 31 luglio 2020, n. 186; Id., 13 luglio 2020, n. 149; Id., 18 aprile 2019, n. 97; Id., 27 giugno 2018, n. 137); iii) lo svolgimento dei lavori preparatori (Corte Costituzionale, 23 dicembre 2019, n. 288; Id., 15 maggio 2018, n. 99; Id., 18 gennaio 2018, n. 5); iv) il carattere ordinamentale o di riforma della norma (Corte Costituzionale, 4 marzo 2019, n. 33; Id., 15 maggio 2018, n. 99; Id., 19 luglio 2013, n. 220; Id., 16 febbraio 2012, n. 22).

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