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Il rimedio dell’opposizione di terzo avverso le sentenze del giudice amministrativo

Autore: Domiziana Morbitelli
Data: 03 Agosto 2023

Con sentenza n. 7517 del 3 agosto 2023, la terza sezione del Consiglio di Stato ha affermato che è noto che il rimedio dell’opposizione di terzo avverso le sentenze del giudice amministrativo è ammesso esclusivamente in favore del controinteressato pretermesso, che si identifica nel titolare di una situazione soggettiva autonoma e incompatibile con quella accertata nella sentenza e rispetto a quella riferibile alla parte risultata vittoriosa per effetto della pronunzia opposta (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 11 gennaio 2007, n. 2; Cons. Stato, sez. V, 17 settembre 2018, n. 5440; Cons. Stato, sez. IV, 31 marzo 2010, n. 1833; Cons. Stato, sez. VI, 30 luglio 2008, n. 3812, nonché da ultimo Cons. Stato, sez. V, 28 aprile 2023, n. 4338). Più specificamente, secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale (cfr., oltre alla citata Cons. Stato, sez. V, n. 5440/2018, negli stessi esatti termini Cons. Stato, sez. V, 23 agosto 2019, n. 5817), la legittimazione a proporre opposizione di terzo nei confronti di una sentenza del giudice amministrativo resa inter alios va riconosciuta ai controinteressati pretermessi, nonché a quelli occulti (perché non facilmente identificabili) o sopravvenuti (i.e. beneficiari di un atto consequenziale, quando una sentenza abbia annullato un provvedimento presupposto all’esito di un giudizio cui siano rimasti estranei), non intervenuti nel processo, allorquando tale assenza non sia dipesa da una loro decisione, ma sia conseguenza di un’omissione dovuta alla controparte, alla mancata attivazione dei poteri di integrazione del contraddittorio del giudice o a vizi del procedimento amministrativo a monte, per mancanza di una corretta individuazione o di una espressa evocazione nella formalità degli atti. La legittimazione al rimedio va, dunque, riconosciuta ai terzi titolari di una situazione giuridica autonoma ed incompatibile rispetto a quella riferibile alla parte risultata vittoriosa per effetto della sentenza oggetto di opposizione. Infatti, tali soggetti, pur non avendo partecipato al relativo giudizio, sono nondimeno portatori di un interesse (giuridicamente) qualificato al mantenimento dell’atto impugnato: interesse che, di conseguenza, risulta travolto (direttamente ed immediatamente) dall’annullamento dell’atto stesso; sicché l’attuazione del comando contenuto nella sentenza sarebbe ontologicamente incompatibile rispetto ad una coesistenza, sul piano sostanziale, dei due ordini di interessi propri del ricorrente e dell’opponente (in tal senso cfr. Cons. Stato, sez. III, 16 dicembre 2013, n. 6014; Cons. Stato, sez. V, 23 maggio 2013, n. 2390). Si deve, per opposto ordine di ragioni, escludere la legittimazione attiva all’opposizione di terzo ordinaria di coloro la cui situazione giuridica sia collegata da un rapporto di dipendenza o di derivazione con quella di altri soggetti parti in causa; allo stesso modo va esclusa la legittimazione ad agire dei soggetti interessati solo di riflesso: rispetto a tali categorie difetta, infatti, il requisito dell’autonomia della posizione soggettiva stessa (così C.G.A.R.S, 13 gennaio 2021, n. 27; Cons. Stato, sez. V, 5817/2019 cit.; Cons. Stato, n. 5440 del 2018 cit.; Cons. Stato, sez. VI, 29 gennaio 2008, n. 230). La giurisprudenza ha così precisato che non sono legittimati all’opposizione – ad esempio – i terzi cointeressati, ovvero oggettivamente titolari di un interesse dello stesso tipo di quello fatto valere dal ricorrente, per l’evidente ragione che lo avrebbero dovuto tutelare così come questi ha fatto, ovvero proponendo in proprio ricorso entro i termini di decadenza (così la giurisprudenza costante, per tutte Cons. Stato, sez. III, 10 ottobre 2017, n. 4691, e Cons. Stato, sez. IV, 22 gennaio 1999, n. 55), né coloro che siano titolari di posizioni giuridiche soggettive derivate, rispetto alle parti necessarie del giudizio (si pensi ai locatari di un bene che sia risultato oggetto del giudizio, intentato dal locatore), ovvero che siano succeduti nel corso del giudizio nella posizione giuridica controversa, in quanto per queste situazioni, tradizionalmente la giurisprudenza amministrativa ha ammesso la possibilità di intervenire nel corso del giudizio di cui è parte il proprio contraente o il proprio dante causa, ma non anche la possibilità di contestare la sentenza resa tra le altre parti (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 aprile 2021, n. 2985). 

In conclusione, quindi, ai fini dell’accesso all’opposizione di terzo occorre la titolarità di una posizione soggettiva autonoma giuridicamente qualificata rispetto al thema decidendum (perché direttamente incisa dalla sentenza opposta) e deve, per converso, escludersi la legittimazione di coloro che versino in una posizione non qualificata e differenziata (così C.G.A.R.S, 18 luglio 2022, n. 842), tali essendo i titolari di una situazione giuridica derivata o dipendente da quella oggetto della statuizione giudiziale (quali i soggetti legati da rapporti contrattuali con i legittimati all’impugnazione) o i soggetti interessati solo di riflesso (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 15 dicembre 2014, n. 6415). A tale preciso riguardo la giurisprudenza ha infatti chiarito che poiché l’art. 2909 c.c., nello stabilire la estensione e i limiti soggettivi del giudicato, dispone che l’accertamento contenuto nella sentenza fa stato tra le parti, i loro eredi o aventi causa, non sono, di conseguenza, legittimati a proporre opposizione di terzo i titolari di una situazione giuridica derivata, come il cessionario della posizione in questione (cessionario di ramo d’azienda), ovvero i soggetti interessati solo di riflesso, ad esempio soggetti legati da rapporti contrattuali con i legittimati all’impugnazione (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 15 dicembre 2014, n. 6145).

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