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La responsabilità per illegittimo esercizio dell’attività amministrativa

Autore: Valerio de Gioia
Data: 02 Gennaio 2024

Con sentenza n. 32 del 2 gennaio 2024, la settima sezione del Consiglio di Stato ha affermato, in conformità all’univoco orientamento dalla giurisprudenza in materia, che la responsabilità per illegittimo esercizio dell’attività amministrativa è ascrivibile all’archetipo dell'illecito aquiliano di cui all’art. 2043 c.c. e, pertanto, presuppone l’accertamento in giudizio dell’illegittimità della condotta attiva od omissiva all’origine del danno, dell’elemento soggettivo della colpa dell’amministrazione, del nesso di causalità tra condotta colposa e danno, nonché della c.d. spettanza del bene della vita (Cons. giust. amm. Sicilia, 25 maggio 2023, n. 360). 

Con la pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 7 del 2021 è stato ulteriormente chiarito che la responsabilità della pubblica amministrazione da illegittimo esercizio della funzione pubblicistica è di natura extracontrattuale, non potendo, infatti, configurarsi un rapporto obbligatorio nell’ambito di un procedimento amministrativo, in quanto nel procedimento amministrativo, a differenza del rapporto obbligatorio, sussistono due situazioni attive, cioè il potere della pubblica amministrazione e l'interesse legittimo del privato, assumendo, altresì rilievo che il rapporto tra le parti non è paritario. Centrale è quindi l’ingiustizia del danno, da dimostrare in giudizio, diversamente da quanto avviene per la responsabilità da inadempimento contrattuale, in cui la valutazione sull’ingiustizia del danno è assorbita dalla violazione della regola contrattuale. Declinata nell’ambito relativo al "risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi", di cui all'art. 7, comma 4, c.p.a., il requisito dell'ingiustizia del danno implica che il risarcimento può essere riconosciuto se l’esercizio illegittimo del potere amministrativo abbia leso un bene della vita del privato, che quest’ultimo avrebbe avuto titolo per mantenere o ottenere, secondo la dicotomia interessi legittimi oppositivi e pretensivi. Diversamente da quanto avviene nel settore della responsabilità contrattuale, infatti, il cui aspetto programmatico è costituito dal rapporto giuridico regolato dalle parti contraenti mediante l’incontro delle loro volontà concretizzato con la stipula del contratto-fatto storico, il rapporto amministrativo si caratterizza per l'esercizio unilaterale del potere nell'interesse pubblico, idoneo, se difforme dal paradigma legale ed in presenza degli altri elementi costitutivi dell'illecito, ad ingenerare la responsabilità aquiliana dell'amministrazione (Cons. Stato, sez. VII, 6 marzo 2023, n. 2316).

L’ingiustizia del danno che fonda la responsabilità della pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi si correla alla sopra menzionata dimensione sostanzialistica di questi ultimi, per cui solo se dall’illegittimo esercizio della funzione pubblica sia derivata per il privato una lesione della sua sfera giuridica quest'ultimo può fondatamente domandare il risarcimento del danno. Gli elementi costitutivi della responsabilità civile della pubblica amministrazione, pertanto, sono – come sopra evidenziato – quelli di cui all'art. 2043 c.c., e, dunque, sotto il profilo oggettivo, il nesso di causalità materiale e il danno ingiusto, inteso come lesione alla posizione di interesse legittimo, e, sotto il profilo soggettivo, il dolo o la colpa.

Sul piano delle conseguenze, il fatto lesivo deve essere collegato, con un nesso di causalità giuridica o funzionale, con i pregiudizi patrimoniali o non patrimoniali lamentati. Occorre allora verificare la sussistenza dei presupposti di carattere oggettivo (ingiustizia del danno, nesso causale, prova del pregiudizio subito), e successivamente quelli di carattere soggettivo (dolo o colpa della p.a.). È onere del danneggiato, ai sensi dell’art. 2697 c.c., provare tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda e, in particolare, sia i presupposti di carattere oggettivo (prova del danno e del suo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale) sia quelli di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante) (Cons. Stato, sez. II, 28 aprile 2021, n. 3414; Cons. Stato, sez. II, 24 luglio 2019, n. 5219; Cons. Stato, sez. VI, 5 maggio 2016, n. 1768; Cons. Stato, sez. V, 9 marzo 2015, n. 1182 e Cons. Stato, sez. IV, 22 maggio 2014, n. 2638). Invero, anche l’esistenza del danno ingiusto, lamentato in giudizio, deve formare oggetto di un puntuale onere probatorio in capo al soggetto che ne chieda il risarcimento, non costituendo quest’ultimo una conseguenza automatica dell'annullamento giurisdizionale o dell’accertamento dell’illegittimità dell’atto amministrativo. In proposito non soccorre, infatti, il metodo acquisitivo; né l’esistenza del danno stesso può essere presunta quale conseguenza dell’illegittimità provvedimentale in cui l’amministrazione sia incorsa.

Il principio generale dell’onere della prova previsto dall’art. 2697 c.c. si applica, quindi, anche all’azione di risarcimento per danni proposta dinanzi al giudice amministrativo. Spetta, pertanto, al danneggiato fornire in giudizio la prova di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria e in particolare, la presenza di un nesso causale che colleghi la condotta commissiva o omissiva della Pubblica Amministrazione all’evento dannoso, e l’effettività del danno di cui si invoca il ristoro, con la conseguenza che, ove manchi tale prova, la domanda di risarcimento non può che essere respinta (Cons. Stato, sez. II, 1° settembre 2021, n. 6169). Con precipuo riferimento al requisito soggettivo, l’elemento psicologico della colpa va individuato nella violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ossia in negligenza, omissioni o errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili, in ragione dell’interesse protetto di colui che ha un contatto qualificato con la P.A. stessa (Cons. Stato, sez. VII, 6 marzo 2023, n. 2316; Cons. Stato, sez. VI, 7 settembre 2020, n. 5389; Cons Stato, sez. III, 15 maggio 2018, n. 2882; Cons. Stato, sez. III, 30 luglio 2013, n. 4020). Pertanto, la responsabilità deve essere negata quando l’indagine conduce al riconoscimento dell’errore scusabile per la sussistenza di contrasti giurisprudenziali, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto (Cons. Stato, sez. VI, 3 marzo 2020, n. 1549; Cons. Stato, sez. IV, 7 gennaio 2013, n. 23; Cons. Stato, sez. V, 31 luglio 2012, n. 4337). Per la configurabilità della colpa dell’amministrazione, occorre che emerga che quest’ultima abbia tenuto un comportamento negligente in palese contrasto con i canoni di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, di cui all'art. 97 Cost. (Cons. Stato, sez. IV, 4 settembre 2013, n. 4452; Cons. Stato, sez. V, 18 giugno 2018, n. 3730). In altri termini, deve aversi riguardo al carattere della regola di azione violata: se la stessa è chiara, univoca, cogente, si dovrà riconoscere la sussistenza dell’elemento psicologico nella sua violazione; al contrario, se il canone della condotta amministrativa contestata è ambiguo, equivoco o, comunque, costruito in modo tale da affidare all’Autorità amministrativa un elevato grado di discrezionalità, la colpa potrà essere accertata solo nelle ipotesi in cui il potere è stato esercitato in palese spregio delle regole di correttezza e di proporzionalità. E, infatti, a fronte di regole di condotta inidonee a costituire, di per sé, un canone di azione sicuro e vincolante, la responsabilità dell’amministrazione potrà essere affermata nei soli casi in cui l’azione amministrativa ha disatteso, in maniera macroscopica ed evidente, i criteri della buona fede e dell’imparzialità, restando ogni altra violazione assorbita nel perimetro dell'errore scusabile (cfr. Cons. Stato, sez. III, 24 maggio 2018, n. 3131; Cons. Stato, sez. III, 16 maggio 2018, n. 2921).

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