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La richiesta di revisione fondata su una prova scientifica

Autore: Valerio de Gioia
Data: 10 Febbraio 2025

Con sentenza n. 5170 del 10 dicembre 2024-10 febbraio 2025, la prima sezione penale della Corte di Cassazione ha affermato che l'art. 630, comma 1, lett. c) c.p.p. permette la richiesta di revisione se, dopo la condanna, sono sopravvenute o si scoprono nuove prove che, sole o unite a quelle già valutate, dimostrano che il condannato deve essere prosciolto a norma dell'art. 631 c.p.p. (quindi, a norma degli artt. 529, 530 o 531 c.p.p.). È noto che il processo di revisione si sviluppa in due fasi, l'una rescindente e l'altra rescissoria: la prima è costituita dalla valutazione - che avviene "de plano", senza avviso al difensore o all'imputato della data fissata per la camera di consiglio - dell'ammissibilità della relativa istanza e mira a verificare che essa sia stata proposta nei casi previsti e con l'osservanza delle norme di legge, nonché che non sia manifestamente infondata; la seconda è, invece, costituita dal vero e proprio giudizio di revisione mirante all'accertamento e alla valutazione delle "nuove prove", al fine di stabilire se esse, sole o congiunte a quelle che avevano condotto all'affermazione di responsabilità del condannato, siano tali da dimostrare che costui deve essere prosciolto dal reato ascrittogli. Se è evidente che i criteri di valutazione delle prove nuove o sopravvenute sono differenti nelle due fasi, la Suprema Corte ha già avuto modo di chiarire che, in sede di valutazione sull'ammissibilità della richiesta, la consistenza delle prove dedotte come nuove ovvero sopravvenute deve essere comunque oggetto di vaglio: si è, invero, affermato che, per l'ammissibilità della richiesta di revisione basata sulla prospettazione di una nuova prova, il giudice deve valutare non solo l'affidabilità della stessa, ma anche la sua persuasività e congruenza nel contesto probatorio già acquisito nel giudizio di cognizione, del quale occorre quindi identificare il tessuto logico-giuridico (Cass. pen., sez. I, 5 marzo 2013, n. 20196). In questa prima fase, la Corte d'appello ha un limitato potere-dovere di valutazione, anche nel merito, riguardo all'oggettiva potenzialità degli elementi addotti dal richiedente a dar luogo a una necessaria pronuncia di proscioglimento. Sotto il profilo della valutazione dell'istanza di revisione, la giurisprudenza di legittimità ha più volte chiarito che la valutazione preliminare circa l'ammissibilità della richiesta fondata sull'asserita esistenza di una prova nuova deve avere ad oggetto, oltre che l'affidabilità, anche la persuasività e la congruenza della stessa nel contesto già acquisito in sede di cognizione e deve articolarsi in termini realistici sulla comparazione tra la prova nuova e quelle esaminate, comparazione ancorata alla specifica realtà processuale (cfr. Cass. pen., sez. II, 13 marzo 2018, n. 18765; Cass. pen., sez. V, 22 novembre 2004, n. 11659; Cass. pen., sez. I, 27 giugno 2012, n. 34928; Cass. pen., sez. VI, 30 gennaio 2014, n. 20022). Su tali basi, si è chiarito che, ai fini dell'ammissibilità della richiesta di revisione, dovendosi intendere per "prove nuove" «non solo le prove sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna e quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero acquisite, ma non valutate neanche implicitamente, purché non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice» (Cass. pen., sez. V, 9 gennaio 2020, n. 12763; Cass. pen., sez. IV, 15 marzo 2019, n. 25862; Cass. pen., sez. V, 4 maggio 2015, n. 26478), possono venire in considerazione ai sensi dell'art. 630, comma 1, lett. c), c.p.p., anche le prove che, pur incidendo su un tema già divenuto oggetto di indagine nel corso della cognizione ordinaria, siano fondate su nuove acquisizioni scientifiche e tecniche diverse e innovative, tali da fornire risultati non raggiungibili con le metodiche in precedenza disponibili (Cass. pen., sez. IV; 14 luglio 2021, n. 28724), ma non quelle che costituiscono una mera diversa valutazione tecnico scientifica di dati già valutati, che si tradurrebbe in apprezzamento critico di emergenze oggettive già conosciute e delibate nel procedimento (Cass. pen., sez. V, 8 ottobre 2021, n. 44682). In quest’ottica si è affermato che anche una diversa valutazione tecnico scientifica di elementi fattuali già noti può costituire "prova nuova", quando risulti fondata su metodologie più raffinate ed evolute, idonee a cogliere dati obiettivi nuovi, sulla cui base vengano svolte differenti valutazioni tecniche (Cass. pen., sez. VI, 14 febbraio 2017, n. 13930) o quando siano suscettibili di fornire risultati più adeguati (Cass. pen., sez. V, 22 gennaio 2013, n. 14255; Cass. pen., sez. VI, 4 luglio 2013, n. 34531).

Qualora la richiesta di revisione sia fondata su una prova scientifica il necessario vaglio circa la sua “novità” deve articolarsi in cinque diversi momenti: a) l'apprezzamento della novità del metodo introdotto; b) la valutazione della sua scientificità; c) l'applicazione del nuovo metodo scientifico alle risultanze probatorie già vagliate, alla stregua delle pregresse conoscenze, nel processo già celebrato; d) il giudizio di concreta novità dei risultati ottenuti grazie al nuovo metodo; e) la loro valutazione nel contesto delle prove già raccolte nel precedente giudizio allo scopo di stabilire se essi sono idonei a determinare una decisione diversa rispetto a quella di condanna già intervenuta (Cass. pen., sez. I, 8 marzo 2011, n. 15139). Ne segue che anche il dato dell'individuazione, attraverso nuove tecniche di ascolto e trascrizione delle conversazioni intercettate, di nuove espressioni, in precedenza rimaste ignote, tratte dalle stesse intercettazioni, al pari dell'attribuzione di espressioni e frasi dal contenuto significativo differente da quello apprezzato nel giudizio di merito, costituiscono elementi di novità che non possono essere riduttivamente catalogati come alternative interpretazioni dello stesso elemento di prova. 

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