Con sentenza n.
34383 del 14 luglio-4 agosto 2023, la sesta sezione penale della Corte di
Cassazione ha rilevato che sul tema dei limiti di configurabilità della
fattispecie di cui al comma 5 dell'art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 è in corso
una riflessione nella giurisprudenza di legittimità che si sviluppa su più
livelli.
Si coglie una
tendenza ad esplicitare in sede applicativa la portata della sentenza delle
Sezioni Unite (Cass. pen., sez. un., 24 giugno 2010, n. 35737), nel senso di
sottolineare come nell'occasione la Corte, pur affermando il principio secondo
cui la fattispecie prevista dal comma 5 dell'art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990
"può essere riconosciuta solo in ipotesi di minima offensività penale
della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli
altri parametri richiamati dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze
dell'azione), con la conseguenza che, ove uno degli indici previsti dalla legge
risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione resta priva di
incidenza sul giudizio", abbia nondimeno offerto coordinate ermeneutiche
specifiche ed ulteriori, chiarendo come la valutazione da compiersi, al fine di
configurare o escludere l'ipotesi del comma 5, non 2 possa ridursi ad una
fredda operazione di constatazione della "inesistenza anche solo di uno
degli indici indicati". Di tale necessità le stesse Sezioni Unite della
Corte hanno mostrato piena consapevolezza nella parte in cui hanno spiegato
come la questione "non possa essere risolta in astratto, stabilendo
incompatibilità in via di principio, ma deve trovare soluzione caso per caso,
con valutazione che di volta in volta tenga conto di tutte le specifiche e
concrete circostanze". Dunque, una valutazione in concreto in una materia
in cui l'esigenza di calibrare la pena all'offesa si manifesta, ove possibile,
in maniera quanto mai stringente, considerata la rilevantissima forbice
edittale che esiste tra l'ipotesi di cui al comma 1 dell'art. 73, d.P.R. n. 309
del 1990 e quella del comma 5.
La questione relativa alla legittimità del trattamento sanzionatorio previsto dall'art. 73, comma 1, d.P.R. cit., per violazione dei principi di ragionevolezza, uguaglianza e di proporzionalità della pena è stata affrontata dalla Corte costituzionale, che, nell'ambito di una articolata analisi, ha affermato di non potersi sottrarre alla verifica sulla ragionevolezza e proporzionalità della misura della pena, ma - allo stesso tempo - di non poter intervenire, non potendo individuare in concreto l'opzione preferibile tra le tante soluzioni costituzionalmente percorribili. I giudici hanno tuttavia inviato un chiaro monito al legislatore: "in assenza di una univoca indicazione legislativa già disponibile nel sistema giuridico, questa Corte reputa necessario, nel rispetto delle reciproche competenze istituzionali, richiamare prioritariamente il legislatore alla propria responsabilità, affinché la misura della pena sia riportata in armonia con i principi costituzionali per via legislativa, scegliendo una tra le molteplici opzioni sanzionatorie tutte ugualmente legittime e alternative a quella censurata. In mancanza di un intervento del legislatore, la Corte sarebbe però successivamente obbligata a intervenire, non mai in malam partem, e comunque nei limiti già tracciati dalla sua giurisprudenza" (Corte Cost. sent. n. 179 del 2017). Si tratta di affermazioni che, riconoscendo la necessità di riportare in armonia con i principi costituzionali la pena prevista dall'art. 73, comma 1, d.P.R. cit., impongono di interpretare la norma prevista dall'art. 73 comma 5, cit. in maniera stringente e conforme ai principi costituzionali di offensività e di proporzione tra offesa e pena. La pena è costruita sulla gravità del fatto e giustificata da essa, nelle sue componenti oggettive (importanza del bene, modalità di aggressione, grado di anticipazione della tutela) e soggettive (grado di compenetrazione fatto-autore), come sua variabile dipendente: una distonia nel rapporto o addirittura uno iato tra i due fattori sarebbero costituzionalmente intollerabili. Dunque, con la forbice edittale il legislatore esprime la sua valutazione sulla gravità del fatto di reato che decide di incriminare, della gravità in astratto, ovviamente, che è uguale per tutta la classe di fatti concreti riconducibili al precetto. Il giudice vi riconosce una presa di posizione su tale elemento e, nell'esercitare il suo potere discrezionale di commisurazione, prosegue il "lavoro" affinandolo sui dati della realtà del singolo caso concreto (cfr., per tutte Cass. pen., sez. un., 26 febbraio 2015, n. 33040). Nella medesima prospettiva si è di recente collocata anche un'altra pronuncia, resa sempre dalla Sezioni Unite (Cass. pen., sez. un., 27 settembre 2018, n. 51063, che ha fatto applicazione di tali principi affermando che la diversità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta non è di per sé ostativa alla configurabilità del reato in esame, in quanto l'accertamento della lieve entità del fatto implica una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta, selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici previsti dalla disposizione. Dalla enunciazione di tali principi si desume un parametro interpretativo univoco, secondo cui nella valutazione della tenuità del fatto ai sensi del quinto comma della richiamata disposizione non può assumere, di norma, valenza esclusiva ed assorbente il dato quantitativo, né quello qualitativo con riferimento alla diversità delle sostanze oggetto di cessione. La valutazione del fatto, pertanto, deve guardare alla sua complessità, valorizzando - in senso positivo o negativo - tutti gli elementi che contraddistinguono quella determinata condotta (mezzi, modalità e circostanze dell'azione, qualità e quantità della sostanza, anche con riferimento alla percentuale di purezza della stessa): criterio di giudizio, questo, che può subire una flessione solo nel caso in cui il dato ponderale sia di per sé talmente rilevante da determinare l'assorbimento dei restanti aspetti della condotta (in tal senso, da ultimo, Cass. pen., sez. VI, 29 novembre 2022, n. 812). In tale contesto si è già spiegato come, ai fini del riconoscimento del reato di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, la valutazione dell'offensività della condotta debba essere ancorata alle concrete capacità di azione del soggetto ed alle sue relazioni con il mercato di riferimento, avuto riguardo all'entità della droga movimentata in un determinato lasso di tempo, al numero di assuntori riforniti, alla rete organizzativa e/o alle peculiari modalità adottate per porre in essere le condotte illecite al riparo da controlli e azioni repressive delle forze dell'ordine (cfr., Cass. pen., sez. VI, 20 febbraio 2018, n. 13982). È configurabile l'ipotesi di c.d. piccolo spaccio, cioè, quando si è in presenza di un'attività che si caratterizza per una complessiva minore portata dello spacciatore e dei suoi eventuali complici, che riveli una ridotta circolazione di merce e di denaro e potenzialità di guadagni limitati; tale attività può ricomprendere anche la detenzione di una provvista per la vendita che, comunque, non sia tale da dar luogo ad una prolungata attività di spaccio, rivolta ad un numero indiscriminato di soggetti (Cass. pen., sez. VI, 3 novembre 2022, n. 45061 in fattispecie caratterizzata dalla mancata emersione del numero degli assuntori che si rivolgevano all'imputato, nonché della capacità di questi - in termini di contatti con i fornitori all'ingrosso e di disponibilità economica - di procurarsi sostanza stupefacente stabilmente ed in quantitativi apprezzabili).
Nella specie, il giudice di merito non ha fatto corretta applicazione dei principi indicati, avendo escluso la riconducibilità dei fatti alla fattispecie meno grave solo attraverso un mero richiamo al dato ponderale, che, tuttavia, in applicazione dei principi indicati, non è autoevidente della incompatibilità dell'attività di spaccio compiuta dall'imputato rispetto alla fattispecie di cui al comma 5 della norma in esame; né, sotto altro profilo, può essere valorizzato in chiave accusatoria il denaro rinvenuto, che, in assenza di altri elementi rivelatori di una più ampia portata criminale dell'attività illecita, ben può essere compatibile con la fattispecie della minore gravità.
LIBRO
Codice penale e di procedura penale e leggi complementari - vigente
Luigi Alibrandi, Piermaria Corso
CORSO VIDEO REGISTRATO
Videoregistrazione live webinar - Cronaca, critica e satira: istruzioni per l'uso
Vincenzo Cardone, Fabrizio Criscuolo, Francesco Verri