Con sentenza n. 25764 del 18 aprile-14 giugno 2023, la sesta
sezione della Corte di Cassazione ha nuovamente dichiarato manifestatamente
infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 22, D.L.vo n. 231
del 2001, per asserito contrasto con gli artt. 3, 24, comma secondo, e 111
Cost., in relazione alla presunta irragionevolezza della disciplina della
prescrizione prevista per gli illeciti commessi dall'ente-imputato rispetto a
quella prevista per gli imputati-persone fisiche, atteso che, la diversa natura
dell'illecito che determina la responsabilità dell'ente, e l'impossibilità di
ricondurre integralmente il sistema di responsabilità "ex delicto" di
cui al D.L.vo n.231 del 2001 nell'ambito e nella categoria dell'illecito
penale, giustificano il regime derogatorio della disciplina della prescrizione (Cass.
pen., sez. VI, 10 novembre 2015, n. 28299).
La giurisprudenza ha già evidenziato come «la responsabilità
dell'ente si fonda su un illecito amministrativo e la circostanza che tale
illecito venga accertato nel processo penale, spesso unitamente
all'accertamento del reato posto in essere dalla persona fisica, non determina
alcun mutamento della sua natura: il sistema di responsabilità ex delicto di
cui al D.L.vo 231 è stato qualificato come tertium genus (Cass. pen., sez. un.,
18 settembre 2014, n. 38343), sicché non può essere ricondotto integralmente
nell'ambito e nelle categorie dell'illecito penale. Pertanto, se i due illeciti
hanno natura differente, allora può giustificarsi un regime derogatorio e
differenziato con riferimento alla prescrizione». La Corte ha altresì rilevato
che «deve escludersi che la disciplina prevista dall'art. 22 cit. sia
confliggente con il principio costituzionale della ragionevole durata del
processo (art. 111, comma 2, Cost.), anche inteso come diritto ad essere
giudicato senza ritardo, con riferimento all'art. 24 Cost. e all'accezione del
canone di ragionevole durata in termini di garanzia soggettiva. Il riferimento
alla durata ragionevole del processo, inserito nella Costituzione con la
riforma del 1999 (Legge Cost. n. 2 del 1999), sviluppa principi già contenuti
nell'art. 6 CEDU e nell'art. 14 del Patto internazionale per i diritti civili -
che però sottolineano, prevalentemente, il diritto della persona ad essere
giudicata in tempi ragionevoli -, ma accentua il profilo, eminentemente
oggettivo, di garanzia della giurisdizione. In altri termini, l'art. 111, comma
2, Cost. esprime un principio rivolto soprattutto al legislatore, perché
predisponga gli strumenti normativi in grado di contenere i tempi del processo
e di assicurare una giustizia efficiente. Tuttavia, la ragionevole durata cui
si riferisce il principio costituzionale non deve essere intesa come semplice
speditezza in funzione di un'efficienza tout court, ma piuttosto come razionale
contemperamento dell'efficienza con le garanzie, la cui concreta attuazione è
rimessa alle opzioni del legislatore.
Ciò premesso, non può certo affermarsi che la prescrizione, così come disciplinata nell'art. 22, D.L.vo 8 giugno 2001, n. 231, sia in contrasto con il principio dell'art. 111, comma 2, Cost.: in questo caso il legislatore ha, da un lato, introdotto un termine di prescrizione oggettivamente breve, pari a soli cinque anni dalla consumazione dell'illecito, nella dichiarata intenzione di contenere la durata della prescrizione e di non lasciare uno spazio temporale eccessivamente ampio per l'accertamento dell'illecito nel corso delle indagini, anche per favorire le esigenze di certezza di cui necessita l'attività delle imprese, dall'altro, ha previsto un regime degli effetti interruttivi che replica la disciplina civilistica, stabilendo che, una volta contestato l'illecito amministrativo, "la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato - la sentenza che definisce il giudizio". Così il legislatore ha realizzato un bilanciamento tra le esigenze di durata ragionevole del processo, soprattutto nel prevedere un termine breve di prescrizione, e le esigenze di garanzia, corrispondenti nella specie al valore della completezza dell'accertamento giurisdizionale riferito ad una fattispecie complessa come quella relativa all'illecito amministrativo dell'ente. L'effetto di un tale bilanciamento risiede nella tendenziale riduzione del rischio di prescrizione una volta che, esercitata l'azione penale, si instauri il giudizio, con il contrappeso rappresentato dalla ridotta durata del termine di prescrizione, fissato per tutti gli illeciti in cinque anni, termine sensibilmente più breve rispetto a quanto previsto dal codice penale. Una volta contestato l'illecito nel termine di cinque anni risulta difficile che si verifichi la prescrizione nel corso del giudizio, a differenza di quanto accade per i reati, ma ciò avviene sulla base di una scelta del legislatore che vuole evitare che, in presenza dell'interesse dell'autorità procedente a far valere la potestà punitiva dello Stato, manifestata attraverso l'esercizio dell'azione penale, si corra il rischio di dover dichiarare l'estinzione dell'illecito per il sopraggiungere della prescrizione». D'altro canto, proprio per evitare che il procedimento a carico degli enti possa instaurarsi a notevole distanza di tempo dalla commissione del reato che costituisce il presupposto dell'illecito a carico dello stesso, il legislatore del D.L.vo 231/2001 ha introdotto una specifica disposizione - art. 60 - in base alla quale non può procedersi alla contestazione dell'illecito amministrativo nel caso in cui il reato presupposto sia già estinto per prescrizione. Quindi, una volta verificatasi la prescrizione del reato presupposto senza che sia stato contestato l'illecito amministrativo ai sensi dell'art. 59, D.L.vo cit., viene meno la potestà sanzionatoria a carico dell'ente.
LIBRO
Codice penale e di procedura penale e leggi complementari - vigente
Luigi Alibrandi, Piermaria Corso
CORSO VIDEO REGISTRATO
Videoregistrazione live webinar - Cronaca, critica e satira: istruzioni per l'uso
Vincenzo Cardone, Fabrizio Criscuolo, Francesco Verri