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Per la Corte Costituzionale, il regime del 41-bis non impone sempre l’impiego del vetro divisorio «a tutta altezza» durante i colloqui con i familiari minori d’età

Autore: Valerio de Gioia
Data: 26 Maggio 2023

Con sentenza n. 105 del 26 maggio 2023, la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 41-bis, comma 2-quater, lett. b), L. 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), sollevate – in riferimento agli artt. 3, 27, comma 3, 31 e 117, comma 1, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176, e all’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo – nella parte in cui dispone che il colloquio visivo mensile del detenuto in regime differenziato avvenga in locali attrezzati in modo da impedire il passaggio di oggetti, anche quando si svolga con i figli e i nipoti in linea retta minori di anni quattordici. Secondo la Consulta, con riferimento ai colloqui visivi, senza dubbio ricompresi nella sfera dei diritti spettanti anche ai detenuti in regime differenziato, non erra il rimettente quando sostiene la necessità, sia di garantire che il complessivo trattamento penitenziario non contrasti con il senso di umanità, al metro dell’art. 27 Cost., sia di tutelare il preminente interesse dei minori. Sotto il primo profilo, rilievo essenziale assume l’interesse della persona detenuta a mantenere un contatto fisico con i familiari. Una disciplina che ne escluda totalmente la possibilità, finanche nei confronti di quelli in età più giovane, si porrebbe in contrasto con quanto disposto dall’art. 27 Cost., anche per i soggetti in regime differenziato (sentenza n. 351 del 1996). Sotto il secondo profilo, la giurisprudenza costituzionale ha da tempo riconosciuto che «la speciale rilevanza dell’interesse del figlio minore a mantenere un rapporto continuativo con ciascuno dei genitori, dai quali ha diritto di ricevere cura, educazione e istruzione», trova «riconoscimento e tutela sia nell’ordinamento costituzionale interno – che demanda alla Repubblica di proteggere l’infanzia, favorendo gli istituti necessari a tale scopo (art. 31, comma 2, Cost.) – sia nell’ordinamento internazionale» (sentenza n. 187 del 2019). Più volte, quindi, sulla scorta del ricordato principio, la Consulta è intervenuta per adeguare le norme di ordinamento penitenziario alla necessità di tutelare il primario interesse del minore, ossia di un «soggetto debole, distinto dal condannato e particolarmente meritevole di protezione» (sentenza n. 76 del 2017). Non può che concordarsi con il rimettente, dunque, quando afferma che, per il minore «infante o ancora nelle fasi dello sviluppo», il rapporto fisico con il familiare detenuto non sarebbe, almeno di regola, sostituibile con un incontro ostacolato da un vetro divisorio; anche se, come si metterà subito in evidenza, le innegabili esigenze di sicurezza sottese al regime detentivo differenziato comportano cautele e precisazioni ulteriori.

La Corte Costituzionale ha sempre ribadito che l’interesse del minore «non forma oggetto di una protezione assoluta, insuscettibile di bilanciamento con contrapposte esigenze, pure di rilievo costituzionale, quali quelle di difesa sociale, sottese alla necessaria esecuzione della pena» (sentenza n. 174 del 2018; nello stesso senso, più di recente, sentenza n. 30 del 2022). Esigenze che, appunto, si riscontrano al massimo grado per i detenuti assoggettati al regime detentivo differenziato. In effetti, “attrezzare” i locali destinati ai colloqui visivi «in modo da impedire il passaggio di oggetti» può significare inserire una separazione materiale che impedisca qualsivoglia contatto fisico tra gli interlocutori. È indubbio che, nell’esperienza concreta, lo strumento del vetro divisorio a tutta altezza – impedendo ogni contatto fisico tra gli interlocutori – si rivela quello più efficace per impedire il passaggio di oggetti. Ed è, quindi, certamente legittimo che l’amministrazione penitenziaria, nella prassi, abbia individuato in quello strumento la soluzione tecnica per gestire i colloqui dei detenuti soggetti al regime differenziato con i propri familiari e conviventi. Tuttavia, ad un’analisi più attenta, il dato testuale suggerisce anche un esito diverso da quello proposto dal rimettente, compatibile con i parametri costituzionali e sovranazionali evocati. Non è senza significato che il legislatore, nel codificare le prescrizioni già contenute nelle precedenti circolari amministrative, abbia semplicemente indicato il risultato vietato – il passaggio di oggetti durante i colloqui visivi – senza affatto specificare, in dettaglio, le pertinenti soluzioni tecniche (in particolare, l’impiego del vetro divisorio a tutta altezza), limitandosi a richiedere che i locali destinati ai colloqui siano «attrezzati» in modo da impedire tale passaggio. Del resto, la stessa giurisprudenza di legittimità ha giudicato legittima – e dunque conforme al dato normativo primario – la previsione dell’art. 16 della citata circolare DAP del 2 ottobre 2017, che ammette il colloquio senza vetro divisorio, nel caso in cui esso avvenga con i figli e i nipoti in linea retta minori di dodici anni (tra le ultime, Corte di cassazione, sentenza n. 34388 del 2022). Risulta chiaro, insomma, che l’impiego del vetro divisorio, pur potendo costituire un mezzo altamente idoneo allo scopo, in considerazione della sua innegabile efficacia ostativa al passaggio di oggetti, non è tuttavia imposto dal testo della disposizione primaria, che non ne fa alcuna menzione. Ed anzi, al cospetto di altri interessi di rango costituzionale assai rilevanti, quali sono quelli coinvolti dalla disciplina dei colloqui del detenuto con minori d’età, un simile dispositivo può apparire sproporzionato: differenti soluzioni tecniche (unitamente alle misure già espressamente contemplate, per tutti i colloqui dei detenuti in regime differenziato, dal comma 2-quater, lett. b, dell’art. 41-bis ordin. penit.) potrebbero invece risultare adeguate, sia a garantire la finalità indicata dalla disposizione censurata, sia, al contempo, a evitare che la restrizione assuma connotazioni puramente afflittive per il detenuto, sacrificando inoltre l’interesse preminente del minore. Tra queste, ad esempio, l’impiego di telecamere di sorveglianza puntate costantemente sulle mani, la dislocazione del personale di vigilanza in posizioni strategiche, eccetera.

In presenza di una disposizione di legge che indica con chiarezza l’obiettivo – impedire il passaggio di oggetti – le soluzioni per raggiungerlo vanno necessariamente adeguate alla situazione concreta che l’amministrazione si trovi ad affrontare. Sarà quindi ben possibile all’amministrazione penitenziaria – o alla magistratura di sorveglianza in sede di reclamo – disporre un colloquio senza vetro divisorio anche con minori di età superiore a dodici anni, quando sussistano ragioni tali da giustificare una simile scelta, oggetto di adeguata motivazione, volta ad escludere, in particolare, che i minori in questione siano strumentalizzabili per trasmettere o ricevere informazioni, ordini o direttive. In direzione opposta, la singola amministrazione potrà rifiutare – con provvedimento comunque soggetto al vaglio giurisdizionale – una richiesta di colloquio non schermato anche con un minore infradodicenne, nei casi in cui, nel bilanciamento tra il suo interesse, i diritti del detenuto e le esigenze di sicurezza, risultino elementi specifici, tali da rendere oggettivamente prevalente l’esigenza di contenimento del rischio di contatti con l’ambiente esterno. Nulla impedisce ovviamente al legislatore di disciplinare in fonte primaria le modalità dei colloqui con i familiari, in particolare con i minori, evitando peraltro scelte rigide che potrebbero risultare non adeguate, per eccesso o per difetto, al cospetto delle specifiche esigenze evidenziate dal caso singolo.

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