Con ordinanza
n. 12826 dell’11 maggio 2023, la seconda sezione civile della Corte di
Cassazione ha affrontato la questione della legittimazione dell’amministratore
del condominio in pendenza di sequestro preventivo.
Sulla scia
della giurisprudenza formatasi in materia societaria, si è affermato in passato
che il vincolo di indisponibilità derivante da un sequestro preventivo penale
avente oggetto le unità immobiliari di proprietà esclusiva e le parti comuni di
un edificio condominiale, per le quali sia nominato un custode giudiziario, in
difetto di contraria indicazione contenuta nel provvedimento, ed attesa la
funzione tipica di detta misura stabilita dall'art. 321 c.p.p., colpisce sia i
diritti e le facoltà individuali inerenti al diritto di condominio, sia le
attribuzioni dell'amministratore, sia i poteri conferiti all'assemblea in
materia di gestione dei beni comuni, con conseguente nullità della
deliberazione da questa approvata nel periodo di efficacia del sequestro.
Si è
rilevato, in particolare, che l’affidamento delle parti comuni dell'edificio in
condominio ad un custode, come avvenuto nella specie, ha la sua ragion d'essere
nell'esigenza - giustificata, appunto, dalle evidenziate ragioni di preventiva
cautela penale che determinano il sequestro - di sottrarre ai condomini ed agli
organi del condominio la possibilità di continuare a gestire detti beni,
esercitando i diritti e le attribuzioni ad essi correlati, con concentrazione
delle attività gestorie nelle mani dell'ausiliare del giudice.
Si tratta,
evidentemente, di vincolo avente carattere di provvisorietà, come si ricava
dall'art. 323 c.p.p., ma, finché esso perdura, deve dirsi che l'assemblea
rimane priva delle proprie competenze di gestione, con conseguente nullità
delle deliberazioni adottate nel periodo di efficacia del provvedimento di
sequestro preventivo del condominio.
Si è
precisato altresì che la derivante limitazione dell'esercizio dei diritti
dominicali dei condomini, in vigenza del sequestro preventivo penale, rimane
così giustificata sia dal carattere temporaneo della indisponibilità sia dalle
esigenze di natura pubblicistica sottese all'art. 321 c.p.p., potendo gli
stessi esperire la tutela prevista dall'art. 322 c.p.p..
Rimane ovviamente salva la possibilità che il giudice penale limiti in concreto i poteri attribuiti al custode dell'edificio condominiale in sequestro, rendendoli compatibili con una permanente residuale disponibilità gestoria da parte dell'amministratore o dell'assemblea, ciò costituendo oggetto di accertamento di fatto che deve compiersi nel processo di merito ove sorga questione al riguardo (cfr. Cass. civ. 23255/2021).
Nel caso in esame, il giudice di merito non si è attenuto ai citati condivisibili principi, avendo affermato – ribaltando completamente la regola dell’onere probatorio di cui all’art. 2697 c.c. – che fosse onere del condomino dimostrare l’esistenza di un provvedimento di esonero dell’amministratore dagli ordinari poteri, quando invece era proprio l’amministratore a dover dimostrare una limitazione dei poteri del custode nominato nel procedimento penale e la permanenza di una residuale disponibilità gestoria da parte dell'amministratore o dell'assemblea. E da tale erronea impostazione sul riparto dell’onere probatorio, il giudice di merito ha poi dedotto, altrettanto erroneamente, che la sottoposizione a sequestro del Condominio non abbia determinato la cessazione delle attività preordinate alla sua esistenza, ivi compresa l’operatività degli organi preposti alla sua gestione e il pagamento delle spese necessarie alla ordinaria manutenzione, a nulla rilevando il divieto di usare le parti comuni imposto dal GIP.
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