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La reintegrazione in forma specifica del danno subito dal veicolo: la verifica della «eccessiva onerosità»

Autore: Valerio de Gioia
Data: 20 Aprile 2023

Con ordinanza n. 10686 del 20 aprile 2023, la terza sezione civile della Corte di Cassazione ha ricordato che la disposizione dell’art. 2058 c.c. prevede che il danneggiato possa chiedere la reintegrazione in forma specifica, qualora sia in tutto o in parte possibile (comma 1), consentendo tuttavia al giudice di disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente se la reintegrazione in forma specifica risulta eccessivamente onerosa per il debitore; ciò significa che, in relazione al danno subito da un veicolo, nel primo caso la somma dovuta è calcolata sui costi necessari per la riparazione, mentre nel secondo è riferita alla differenza fra il valore del bene integro (ossia nel suo stato ante sinistro) e quello del bene danneggiato (cfr. Cass. civ. n. 5993/1997 e Cass. civ. n. 27546/2017), ovvero nella «differenza fra il valore commerciale del veicolo prima dell’incidente e la somma ricavabile dalla vendita di esso, nelle condizioni in cui si è venuto a trovare dopo l’incidente, con l’aggiunta ulteriore della somma occorrente per le spese di immatricolazione e accessori del veicolo sostitutivo di quello danneggiato» (Cass. n. 4035/1975).

Le due modalità di liquidazione si pongono, fra loro, in un rapporto di regola ed eccezione, nel senso che la reintegrazione in forma specifica (che vale a ripristinare la situazione patrimoniale lesa mediante la riparazione del bene) costituisce la modalità ordinaria, che può tuttavia essere derogata dal giudice – con valutazione rimessa al suo prudente apprezzamento (“può disporre”) – in favore del risarcimento per equivalente, laddove la reintegrazione in forma specifica risulti eccessivamente onerosa per la parte obbligata; quanto all’eccessiva onerosità, la giurisprudenza di legittimità l’ha ritenuta ricorrente «allorquando il costo delle riparazioni superi notevolmente il valore di mercato del veicolo» (Cass. civ. n. 2402/1998, Cass. civ. n. 21012/2010 e Cass. civ. n. 10196/2022), non mancando di rilevare che, se la somma occorrente per la reintegrazione in forma specifica «supera notevolmente il valore di mercato dell’auto, da una parte essa risulta eccessivamente onerosa per il debitore danneggiante e dall’altra finisce per costituire una locupletazione del danneggiato» (Cass. civ. n. 24718/2013, in motivazione, a pag. 5).

La Corte di Cassazione ritiene che, nel bilanciamento fra l’esigenza di reintegrare il danneggiato nella situazione antecedente al sinistro e quella di non gravare il danneggiante di un costo eccessivo, l’eventuale locupletazione per il danneggiato costituisca un elemento idoneo a orientare il giudice nella scelta della modalità liquidatoria e, al tempo stesso, un dato sintomatico della correttezza dell’applicazione dell’art. 2058, comma 2. c.c.; invero, va considerato che il danneggiato può avere serie ed apprezzabili ragioni per preferire la riparazione alla sostituzione del veicolo danneggiato (ad es., perché gli risulta più agevole la guida di un mezzo cui è abituato o perché vi sono difficoltà di reperirne uno con caratteristiche similari sul mercato o perché vuole sottrarsi ai tempi della ricerca di un veicolo equipollente e ai rischi di un usato che potrebbe rivelarsi non affidabile) e che una piena soddisfazione delle sue ragioni risarcitorie può comportare un costo anche notevolmente superiore a quello della sostituzione; per altro verso, al debitore non può essere imposta sempre e comunque (a qualunque costo) la reintegrazione in forma specifica, dato che l’obbligo risarcitorio deve essere comunque parametrato a elementi oggettivi e che, pur tenendo conto dell’interesse del danneggiato al ripristino del bene e della possibilità che i costi di tale ripristino si discostino anche in misura sensibile dal valore di scambio del bene, non può consentirsi che al danneggiato venga riconosciuto più di quanto necessario per elidere il pregiudizio subìto (ostandovi il principio – sotteso all’intero sistema della responsabilità civile – secondo cui il risarcimento deve essere integrale, ma non può eccedere la misura del danno e comportare un arricchimento per il danneggiato). 

Come si è visto, la giurisprudenza di legittimità ha individuato il punto di equilibrio delle contrapposte esigenze facendo riferimento alla necessità che il costo delle riparazioni non superi “notevolmente” il valore di mercato del veicolo danneggiato; si tratta di un criterio che si presta a tutelare adeguatamente la posizione dell’obbligato rispetto ad eccessi liquidatori, ma non anche a tener conto della necessità di non sacrificare specifiche esigenze del danneggiato a veder ripristinato il proprio mezzo; esigenze che –come detto – debbono trovare tutela nella misura in cui risultino idonee a realizzare la migliore soddisfazione del danneggiato e, al tempo stesso, non ne comportino una indebita locupletazione; in tale ottica, deve dunque ritenersi che, ai fini dell’applicazione dell’art. 2058, comma 2, c.c., la verifica di eccessiva onerosità non possa basarsi soltanto sull’entità dei costi, ma debba anche valutare se la reintegrazione in forma specifica comporti o meno una locupletazione per il danneggiato, tale da superare la finalità risarcitoria che le è propria e da rendere ingiustificata la condanna del debitore a una prestazione che ecceda notevolmente il valore di mercato del bene danneggiato.

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